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Nicola Verlato (foto da www.thebankcollection.com)

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Nel racconto della morte di Pasolini, nei suoi teleri esposti in palazzo Lanfranchi a Matera, Nicola Verlato evita ogni interpretazione cristologia e sceglie l’identificazione con un eroe laico della contraddizione come Christopher Marlowe e la mette in scena con una scelta estrema. Marlowe fu un personaggio controverso e discusso la cui libertà di pensiero fu intesa come ateismo e satanismo, con l’insinuazione di attività politiche segrete, libertinaggio, omosessualità. Trovò morte violenta in una osteria di Deptford durante una rissa.

Con questa lettura, Verlato trasferisce l’episodio della morte di Pasolini in una rappresentazione teatrale, con l’ambientazione di una locanda in prossimità dei Docks di Londra di cui sul fondo si vedono gli alberi delle imbarcazioni in porto. Quelle di Marlowe e di Pasolini sono vite parallele, vicende drammatiche in cui letteratura e vita coincidono.

Verlato ha scritto: “Voglio rappresentare il momento in cui le cose si spostano da un piano dell’esistenza ad un altro, quello mitologico (…). Il mio metodo di lavoro consiste nel raccogliere quella massa di dati accumulati dagli individui su un determinato soggetto. Poi li trasformo in un modello, produco cioè una metafisica “al contrario”: ricavo l’idea di un soggetto a partire dalle sue varie manifestazioni concrete. È una metafisica dell’ovvio perché sono in realtà affascinato dalle stesse cose che interessano a tutti, quelle cioè che disseminano il maggior numero di tracce nei media e nell’immaginario collettivo: James Dean, Fifty Cent o quant’altro sono delle nuvole fenomeniche-mitologiche, cariche di informazioni e pronte per essere organizzate in modelli”.

Il secondo telero corrisponde alla ricostruzione, proposta da più parti, di un assassinio politico, dunque di un complotto, non di una vicenda passionale legata ai rapporti sessuali con Pino Pelosi. Il giovane è un’esca, per portare il poeta, pericoloso e minaccioso per le sue denunce, riflesse in “Petrolio”, nel luogo dell’agguato dove lo attendono con bastoni alcuni aggressori, tra i quali un nero. L’ispirazione viene dalla sceneggiatura del film di David Grieco , “La macchinazione”, incentrata sull’episodio della richiesta di un riscatto per il furto del negativo del film “Saló o le venti giornate di Sodoma”, che sarà una trappola per ucciderlo. Interpretazione suggestiva anche se non dimostrata.

Ma Verlato racconta e definisce la situazione del dramma ,aldilà della realtà effettuale. Il taglio è ancora una volta cinematografico, con l’atmosfera del notturno accentuata dal dialogo tra la luna e i fari dell’automobile. Torna Raffaello: la diretta ispirazione di Verlato è dalla “Liberazione di San Pietro” nelle Stanze vaticane. Caravaggio è lontano. Per Pasolini ciò che conta è il racconto prima che il senso stesso della pittura. Carpaccio nei suoi teleri sostituiva il verbo PINXIT con FINXIT, a dire la sua intenzione di raccontare una storia come “finzione” narrativa. Ciò che oggi si chiama “fiction”. Non per caso Verlato dipinge nel tempo e con la misura psicologica del cinema, e la sua realtà è cinematografica. Il ciclo su Pasolini è una serie di ipotesi che, da teorie, diventano immagine. Per questo esiste la pittura. Per i concetti, c’è la filosofia.


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