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Pietrangelo Buttafuoco, come sta? Che periodo della vita è per Lei questo?

«Magnifico, entusiasmante, con molta adrenalina. Perché le mie giornate sono dei mosaici, e ogni singola pietruzza ha un suo racconto. Poi, appena posso, mi godo il romanzo nel suo insieme.»

Quindi prova qualcosa che potremmo definire felicità.

«Sì, sento il creare, l’ebbrezza del creare. Una bellissima sensazione, come attraversare l’elettricità delle cose.»

Però avrà vissuto anche momenti bui, avvilenti. Ne ricorda qualcuno, in particolare?

«Forse la morte della professione. Quando morì il giornalismo vidi il buio.»

Perché, il giornalismo è morto?

«Sì, certo che è morto. Mi sentivo nel pieno dell’energia, del possesso di una tecnica, e poi è tutto cambiato. Mi accorsi che era come quando era stato inventato il telaio e qualcuno continuava a tessere alla vecchia maniera.»

E fisicamente non lo avverte il passare gli anni, l’affacciarsi della maturità?

«Quello sì, me ne accorgo. Perché essendo pedone in una città terribile come Roma, ogni passo che faccio è un agguato, un inciampo, allora avverto che le risposte del corpo non sono più come quelle di un tempo.»

E l’eros? Non l’avvilisce l’idea che con il passare degli anni il corpo perda vigore?

«Un proverbio dice: “L’uomo sessantino lassa a fimmina e pigghia lu vino”. Vuol dire che anticamente si conoscevano bene i passaggi del tempo. L’attraversamento delle stagioni mi muove a tenerezza.»

Non avverte l’ombra della decadenza, insomma.

«No, grazie a Dio no. È un periodo anche storico molto affascinante. Un vecchio sistema sta per andarsene; e se ne sta andando, se Dio vuole, senza traumi sanguinari.»

E cosa se ne sta andando, del vecchio mondo?

«Stiamo perdendo l’illusione della ragione. Tutta la grande superstizione illuministica si è frantumata.»

L’illuminismo è una superstizione?

«Totalmente. Coi suoi tabù del razionalismo, del laicismo, del progressismo.»

E quindi siamo in un’epoca nuova. Che epoca è, dunque, questa che stiamo vivendo?

«Diciamo che è l’epoca della tecnica compiuta dove prevale uno spettro di possibilità ulteriori. Adesso c’è la possibilità di adottare nuovi linguaggi che molto somigliano a quelli dei pitagorici. L’algoritmo non è altro che un’intuizione di Pitagora.»

Anche la letteratura fa parte del vecchio mondo che sta andando via?

«Se noi stiamo parlando della voce, del “poetar cantando”, no, ci sarà sempre, perché appartiene all’umano.»

Quindi per Lei non è cambiato nulla, come scrittore.

«Dal punto di vista industriale sì. Perché è chiaro ormai che i libri sono come i bigliettini da visita. Non esiste più il consumo dell’opera d’arte, specie nella sua riproducibilità. Invece dal punto di vista della liberalità della creazione non è cambiato niente. È sempre la solita ebbrezza.»

E la politica La entusiasma ancora?

«La politica è una delle forme che accompagnano la trasformazione di questo tempo. La forma del politico deve riadattarsi al cambiamento. Fino al ‘900 siamo stati accompagnati dalla diade terra e mare. Ora la diade è diventata una triade: terra, mare e spazio. E i confini del politico si ridisegnano secondo questo schema. Una volta c’era l’impero della terra e del mare. Ora c’è anche la terra dello spazio.»

Buttafuoco, ha qualche nostalgia?

«Quelle semplici di tutti noi. Dei cari, per esempio. Però tra le superstizioni che se ne sono andate via c’è anche quella del futuro. Sul futuro prevale l’avvenire, con tutto l’etimo che trascina con sé.»

Perché, qual è la differenza tra futuro e avvenire?

«L’avvenire ti dà un tempo di completezza. Il futuro è l’accadere: è come la pioggia, che però poi si asciuga. Mentre l’avvenire è la storicità di ciò che avviene, l’avvenimento che mette radici.»

Quindi lei crede nell’avvenire.

«Sì, senza dubbio. Dopo il perdurare nella decadenza, ora s’avvia il buonumore.»

E come mai tutti dicono che siamo in piena decadenza?

«Lo dicono perché devono gestire la realtà con strumenti obsoleti come la rivoluzione francese. È molto più utile il Bhagavadgita, della rivoluzione francese.»

E la morte come la vive lei oggi?

«È solo un transito. Di certo non è un evento definitivo.»

E lei come lo sa?

«Perché basta sollevare lo sguardo e raddrizzare la punta del naso verso il cielo. Solo così ci si rende conto che la morte non è definitiva. Bisogna prendere un punto dell’infinito e metterselo sulla giacca come un distintivo.»

E la preghiera che cos’è?

«La preghiera è come nuotare nel canto perdurante dell’eterno.»

Buttafuoco, Lei dove si sente a casa?

«L’ultima volta che ho avuto la sensazione di trovarmi a casa è stato ad Agrigento, nella Valle dei Templi, al tramonto, ritrovandomi faccia a faccia con una capra girgentana.»

Cosa provò?

«Per me era la dimora, il dimorare.»

Esiste davvero la Casa, quella assoluta?

«Sì, ma solo nella forma del presagio.»

Si sente a casa solo in Sicilia o anche a Roma?

«Roma è lavoro. Anzi, è servizio.»

Un giorno tornerà per sempre in Sicilia?

«Sì, come no, tanto che non ho mai cancellato la residenza in Sicilia.»

Vorrà morire in Sicilia dunque?

«O quanto meno lì sarà la mia tomba»

Dove esattamente?

«La mia tomba sarà a Leonforte.»

Come sarà la sua tomba?

«Sotto terra.»

Quali sono le parole della sua infanzia, quelle che non hanno mai smesso di accompagnarla?

«Intanto “melograno”. Perché mi dà il senso della piena goduria, dell’attesa, perché devi aspettare quella stagione e nessun’altra, il melograno non lo trovi con facilità da supermercato. Un’altra parola è “zalora”, è un frutto bellissimo della Sicilia. Come vede le sto dicendo parole che presuppongono passeggiate per le campagne.»

Lei è uomo di terra?

«Diciamo che sono uomo di campagna.»

E il mare?

«Il mare? Tanto di cappello per il mare, ma io sono uomo di campagna.»

E la Sicilia è di mare o di terra?

«La Sicilia è più di terra. Quando a noi siciliani gli amici dicono che vanno a Salina, ad Alicudi, a Filicudi, noi li guardiamo sbalorditi, perché il mare siciliano è il grano.»

Con quali scrittori non più in vita le piacerebbe trascorrere del tempo?

«Ovviamente con Ibn Hamdis. E poi Nino Martoglio. E poi con altri due che sono più impegnativi: uno è Pirandello, l’altro è Giovanni Gentile.»

E con Sciascia?

«È già troppo affollata la sua tavolata.»

E con Vincenzo Consolo?

«Consolo non mi sopportava. Lui era troppo ideologico. Ma “Il sorriso dell’ignoto marinaio” è un romanzo stupendo.»

Che sogni fa solitamente?

«Quasi ogni notte sogno mio padre.»

E cosa Le dice? Cosa accade in sogno tra lei e suo padre?

«Facciamo cose normali, sono scene di vita normale.»

In che modo sente la presenza di Suo padre ora che non c’è più?

«Lo sento anche incontrandolo nelle giornate qualsiasi, nei momenti inaspettati. L’ultima volta l’ho incontrato mentre facevo le scale mobili all’aeroporto. Me lo sono ritrovato accanto. Così, con naturalezza. Gli racconto le cose che faccio.»

Qual è il difetto che non si perdona?

«Forse l’essere eccessivamente impulsivo.»

Il musulmano Buttafuoco cosa pensa del cristianesimo?

«Io sono molto legato alla religione dei nostri padri, nel senso che mi piace molto la religione nella sua versione greca. E quindi mi affascina ritrovare nel cattolicesimo i furti praticati a questa storia.»

Ma Lei è uomo d’Oriente o d’Occidente?

«Né Oriente né Occidente. Sono uomo del Mediterraneo.»

Si sente uno scrittore universale?

«Sì, quello sì, mi sento universale. Quelle poche volte che mi sono trovato in situazioni geograficamente distanti ho sempre sentito delle forti affinità. Le ho avvertite in India, nelle lande siberiane, in Persia.»

Non Le ho chiesto di Sua madre.

«Mia madre è il fondamento che salda tutta quest’autenticità.»

Di cosa ha paura oggi Pietrangelo Buttafuoco?

«Del sussurratore.»

E chi è?

«Il diavolo.»

E com’è il diavolo?

«È una persona. Esiste in quanto tale.»

E Lei lo riconosce sempre?

«Sì, lo riconosco. Arriva attraverso un brivido, un tipo particolarissimo di freddo.»


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