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L’erba cattiva non muore mai, ma neanche gli stereotipi scherzano. Che l’estate sia un ricettacolo di bollenti spiriti e che risvegli nell’umanità una spiccata tendenza alla lite da osteria, ormai è un fatto consolidato, una consuetudine che, come il Diritto ci insegna, spesso diventa anche una fonte, portandoci ad osservare determinati comportamenti per un tempo talmente prolungato da farne il cosiddetto “uso normativo”; sapevamo anche che, per risparmiare sulla creatività, gli insulti verso il prossimo si concentrano prevalentemente su tre aree oggetto di un ormai consolidato studio sociologico: l’orientamento sessuale, le componenti femminili della sua famiglia e la zona di provenienza, italiana o estera che sia.

L’alto dibattito filosofico del giorno è gentilmente offerto da una signora che nei giorni scorsi, aggirandosi in un piccolo paese della provincia Catanzarese a bordo del suo suv, ha pensato bene di fermarsi per nutrire una cagnolina randagia con dei bocconcini per cani. Gesto nobile e generoso, considerate le condizioni esasperanti del randagismo in Italia.

La signora ha riversato il contenuto della scatoletta proprio di fronte alla casa di un abitante del paese, il quale, inizialmente con toni pacati, ha chiesto alla donna di munirsi di piattino di plastica o qualunque altra alternativa per offrire il cibo alla cagnetta, per evitare la sporcizia davanti alla propria abitazione e che le temperature roventi acuissero l’odore forte della scatoletta. La signora si è rifiutata di rimediare (giacché la cagnetta stava mangiando, per l’appunto, sul marciapiede) ed anzi ha specificato che il cibo “tanto poi va via con l’acqua” (presumibilmente piovana). A quel punto il proprietario di casa ha alzato i toni, sostenuto anche dal vicinato, fino a rischiare che la conversazione degenerasse. La signora, tornando per direttissima a bordo dell’auto, si è premurata di urlare: “terroni di merda, siete buoni solo a prendere l’invalidità civile”. Chiedendo conferma anche alla cagnolina (“vero, cagnetta?”), che peraltro da anni è curata e nutrita dagli abitanti del paese. La signora ha rimesso in moto l’auto lasciando la “scena del crimine”, ma non prima di aver scattato qualche foto nel vicinato.

Un paio di giorni prima, a Cropani Marina, sempre in provincia di Catanzaro, tra quei presunti terroni buoni solo a rubare, c’era un uomo alla guida di un furgone che arrestava il proprio mezzo per strada, per correre in soccorso di un altro rimasto gravemente coinvolto in un incidente d’auto: la vittima sarebbe morta di lì a poco. Il soccorritore racconta di una scena che, a distanza di giorni, si ritrova costantemente davanti agli occhi e gli condiziona il lavoro, gli incontri, gli affetti, come la pellicola di un film incastrata nel proiettore che mostra le stesse immagini per tutto il giorno, tutti i giorni, tenendo un ritmo così fisso da entrare in pianta stabile a far parte della sua vita.

A far di tutta l’erba un fascio, si rischia che in quel marasma indistinto d’erba ci si punga anche con l’ortica, o che si butti via un bocciolo di rosa; a mancare di educazione ed oculatezza si rischia di trasformare il bel gesto del nutrire un randagio nell’imbarazzante teatrino trito e ritrito dell’eterna lotta tra terroni e polentoni. Alimentare pallidi stereotipi con la pretesa di vincere uno scontro sul piano dialettico ci spinge, invece, ad un livello così basso della conversazione che la nostra voce si riduce a una mera eco cui non vale la pena neppure rispondere, poiché fine a se stessa, com’è nella sua natura.

“Quanto più il carretto è vuoto, tanto più fa rumore”, recita la morale di una nota fiaba: quanto più diamo aria alla bocca, tanto più mostriamo di non essere capaci di pesare le parole, di condirle quando è il momento, di utilizzarne quante più ricercate possibili per non cadere nel tranello del dequalificante insulto. La potenza dell’offesa vive di un meccanismo controverso: potrà anche mettere a tacere chi abbiamo davanti, ma fino a quel momento avrà danneggiato prima noi che lui. Non è d’oro il silenzio, ma la capacità di dire la cosa giusta al momento giusto.

In tal senso, guai a tacere: in questi casi il silenzio non è oro, ma bigiotteria.


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