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La stretta di mano tra Giuseppe Garibaldi e Vittorio Emanuele II nell'affresco di Pietro Aldi

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Un gesto millenario, una dichiarazione di amicizia, di tregua, di affari conclusi, di patti suggellati, di perdoni accordati, di diffidenze annusate e poi superate. Ma anche simbolo di lealtà sportiva alla fine di una sfida su un campo da tennis, ad esempio. Tutto in una stretta di mano di cui avvertiamo anche l’intensità, la presa che ci rivela la personalità di chi abbiamo davanti. Insomma una sorta di biglietto da visita che coinvolge il tatto ma sollecita anche quel che comunemente chiamiamo “sesto senso”.

Ora, però la tempesta di vento del Covid-19 ne ha cancellato anche l’impronta, ha frantumato persino il calco di una ritualità rassicurante. La mano tesa di uno verso l’altro – anche quando l’altro lo si era appena conosciuto e, forse, non lo si sarebbe incontrato più – era tra i più semplici dei saluti. Quante mani abbiamo stretto suggellando con quel gesto convenzionale un incontro voluto o fortuito, breve come il bagliore di un lampo o lungo come certi abbracci che ci portiamo dentro per tutta la vita? Tutto resettato. Via. Non ci è concesso. Non ora. Che poi quella stretta a mani libere altro non era che un guardarsi dritto negli occhi lasciando aperta la porta del cuore. Un modo per dire, anche senza parlare: “non ti conosco ma mi fido di te”. Un contatto, una scintilla, un toccarsi e percepire che quelle mani tese sarebbero entrate nella nostra vita, oppure la avrebbero solamente sfiorata. In questo presente claudicante, con i sogni e i progetti spezzati come le mine delle matite quando impattano sui cartoncini da disegno, in questo inverno che sta arrivando – ma che nel cuore ci accompagna ormai da mesi – si può anche provare a raccontare la storia degli uomini attraverso una stretta di mano.

Si potrebbe, ad esempio, cominciare da una stele del V secolo a.C. per ritrovare Atena figlia prediletta di Zeus ed Era figlia di Crono nell’atto esatto in cui si stringono la mano. Due dee e una storia che cavalca i secoli. A testimoniare la durata ultra secolare della stretta di mano prima c’è anche un bassorilievo in pietra risalente al IX secolo a.C. La scultura in rilievo raffigura il re assiro Shalmaneser III nell’atto di stringere la mano al re babilonese Marduk-zakir-shumi I. In Grecia e a Roma si era soliti salutare stringendosi la mano, ma in una maniera diversa da come siamo abituati a fare oggi. In sintesi, si afferrava l’avambraccio o il polso dell’altra persona stringendo fortemente. E se anche Omero non è esente dal descrivere la stretta di mano come segno di fiducia, balzando in avanti nel tempo, troviamo una miniatura del 1170 circa. Raffigura la pace fatta tra Thomas Becket ed Enrico II, re d’Inghilterra. I due sono “immortalati” nell’atto di sfiorarsi le mani.

Di secolo in secolo arriviamo alla Pace di Münster del 18 Giugno 1648. Eseguito da Bartholomeus van der Helst, è un quadro corale. Sulla destra figurano il capitano Cornelius Jansz. Witsen e Johan Oetgens van Waveren. Ancora una volta, la concordia è suggellata da una stretta di mano. Torniamo in Italia. Come non ricordare la stretta di mano tra Giuseppe Garibaldi e Vittorio Emanuele II a Teano, il 26 ottobre del 1860? L’epico incontro fu immortalato da Pietro Aldi in un affresco del 1886 nella sala del Palazzo Pubblico di Siena. Dopo circa tre anni da quella stretta finita sui libri di Storia, nel 1863, il torinese Massimo Taparelli  marchese d’Azeglio nella prefazione a “I miei ricordi”, scrisse: “pur troppo s’è fatta l’Italia, ma non si fanno gl’Italiani”. Questa, però, è un’altra storia!

Lasciamo Garibaldi, i Mille e il re e addentriamoci nel secolo breve per arrivare sulla soglia dei nostri giorni attraverso alcune celebri strette di mano con immancabile foto documento. Nella galleria delle strette che hanno fatto la Storia troviamo quella incrociata a tre del 17 luglio 1945 il premier britannico Churchill, il presidente americano Truman ed il leader sovietico Stalin alla conferenza di Potsdam; il 3 giugno 1961 a Vienna ecco il presidente americano John F. Kennedy ed il leader sovietico Nikita Krusciov. Ancora, di stretta in stretta arriviamo al 10 dicembre del 2013. Siamo a Johannesburg, a margine dei funerali di Nelson Mandela, il presidente degli Stati Uniti Barack Obama stringe la mano del presidente cubano Raul Castro. Gli esempi immortalati dalla macchina fotografica, dalla telecamera o dal taccuino dei cronisti non si contano.

È tempo, però, di lasciare i Grandi della Terra e planare sulle più “civettuole” regole del galateo. Il bon ton sulla stretta di mano, se applicato avrebbe vita durissima ai tempi della pandemia. Un esempio? Nelle giornate fredde quando si indossano i guanti, il galateo suggerisce che bisogna sfilarseli prima di stringere la mono a qualcuno. Questo vale sia per gli uomini che per le donne se ci si trova al chiuso, mentre all’aperto tocca solo all’uomo, la signora invece può conservare il guanto. Et voilà: il guanto della sfida e forse anche della seduzione è servito e ci porta dritti dritti sul campo minato dell’amore. In questo caso, però, la stretta di mano non è contemplata ed appare diversa da quel “dammi la mano” che accompagna il cammino condiviso di chi si ama.

Il nostro andare di mano in mano si chiude con alcuni versi in dialetto romanesco di Trilussa tratti dalla sua “La stretta de mano”. Fa così: “Quella de dà la mano a chicchessia, / nun è certo un’usanza troppo bella: / te pò succede ch’hai da strigne quella / d’un ladro, d’un ruffiano o d’una spia.[…] Perché la mossa te viè a dì in sostanza: / “Semo amiconi … se volemo bene … ma restamo a ‘na debbita distanza”. A rileggerla, pare scritta oggi.


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