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Il successo logora chi non ce l’ha in questo quadro spicca il fallimento dei Social Network nati per condividere stanno diventando laceranti

Il successo logora chi non ce l’ha. Forse ancor più del potere, perché il successo e il potere camminano allo stesso ritmo e muovono lo stesso passo, con l’unica differenza che il potere è la sublimazione, l’elevazione del successo; è ciò che si ottiene quasi di diritto una volta che il successo è stato tanto e consolidato.

Probabilmente è per questo che odiamo tanto chi ha più successo di noi: se volessimo vederla in chiave completamente distruttiva, diremmo che il successo altrui ci mette di fronte ai nostri stessi fallimenti, ci fa confrontare con i nostri limiti e ci spinge al cospetto delle nostre condizioni irrisolte; se invece volessimo interpretarla in maniera più moderata, ci suscita semplicemente un tipo di invidia particolarmente restia a rimanere nei ranghi, nei contorni di un disegno che dovrebbe raggruppare tutte le opinioni non richieste stando bene attente a non uscire.

IL SUCCESSO LOGORA E I SOCIAL DIVENTANO UN CAMPO DI INSULTI

È quello che, nostro malgrado, accade sui social ultimamente: ottenere un successo, non importa in che veste e forma, ci espone a un numero sempre crescente di critiche e insulti.

Un po’ come dire che il successo dà alla testa, sì, ma quello degli altri. E, specularmente, sono i nostri insuccessi a renderci parte di uno spettacolo grottesco in cui chi performa diventa lo zimbello della piazza.

E se è pur vero che la tendenza odierna è quella di sovraesporre risultati straordinari a discapito dell’ordinario, se è pur vero che è molto più facile dipingere l’irraggiungibile (o il difficilmente eguagliabile) piuttosto che investire su chi rende nella media, spingendo a miglioramenti realistici, è vero anche che la gestione dei successi, propri ed altrui, è un concetto che in questo periodo sta decisamente sfuggendo di mano.

Sempre più spesso, è vero, vengono esaltate le “super doti”, giovani uomini e donne che conseguono lauree in tempi ristretti e mantenendo un’esistenza tutto sommato normale.

IL BENEFICIO DEL VERBA VOLANT E I DANNI DELLO SCRIPTA MANENT

Ma non dovrebbe, forse, essere questo l’obiettivo delle vite di tutti? Conseguire dei risultati senza che essi diventino il centro delle giornate e del mondo? La questione, però, è che anche quando si festeggia un successo, i punti di vista non vengono mai espressi con cognizione di causa. Fintanto che le parole venivano proferite esclusivamente a voce, fintanto che il dialogo poteva andare perduto un’ora, ma forse anche una manciata di minuti più tardi, il beneficio del “verba volant” era quanto di più prezioso potesse esistere per chi credeva che le parole fossero strumenti letali, che potevano ferire esattamente quanto un’arma; ma da quando esistono i social (o meglio: da quando hanno assunto certe derive) la palla è passata al decisamente più temuto “scripta manent”, che è il motivo per il quale celebrare i propri successi sulle piattaforme online sta diventando sempre più un campo minato in cui muoversi.

Che sia in anticipo di tre anni o in ritardo di cinque sulla tabella di marcia, la laurea, ad esempio, rimane una delle circostanze più foriere di opinioni non richieste, traboccanti di giudizi indesiderati che toccano proprio tutto, dal percorso personale del laureando o della laureanda fino alle motivazioni che l’hanno spinto o spinta a scegliere quel determinato percorso accademico piuttosto che un altro.

Insomma, da virologi a profondi conoscitori delle dinamiche di politica estera fino a filosofi della vita altrui, stiamo bene attenti a non lasciarci sfuggire mai la qualifica del momento, specie quando si tratta di mettere bocca su questioni di cui non conosciamo i margini.

IL SUCCESSO LOGORA E SE SEI DONNA È ANCORA PEGGIO

Ad aggravare la posizione, interviene il genere. Sì, di nuovo: perché non vorrete mica che che passi inosservato il fatto che una ragazza o una donna ottenga un posto di rilievo o consegua una laurea prestigiosa in tempi brevi; dove finirebbe tutto il divertimento, se la malcapitata non fosse accusata di aver intrattenuto privatamente il professore o l’assistente di turno? Come potrebbe mai iniziare la solita corrida senza i tradizionali, banali e stomachevoli pregiudizi sui quali si è costruita una vera e propria subcultura social?

L’uomo ottiene perché merita, la donna ottiene in virtù di un sistema di “do ut des” ambiguo, sottile, da sempre attribuito a tutte le ragazze, d’ufficio, dalla nascita, come un neo sulla pelle col quale si nasce e contro cui non ci si può far nulla, anche se rovina l’estetica del viso o del corpo.

E così, mentre tutto ciò che è “vintage” torna alla ribalta, la sola cosa che non riesce a rientrare nello spazio di una relazione sociale sana è la gentilezza, la capacità di gioire con morbidezza e comprensione per i successi degli altri e la maturità di mettersi in gioco con onestà e consapevolezza che quelli che sono i propri limiti possano in realtà essere un punto di partenza per gli altri.
Assistiamo a un fenomeno che forse non prospettavamo, a cui forse non avevamo pensato: il paradosso dei social network. Nati per condividere contenuti, probabilmente imploderanno per questo stesso identico motivo: l’impossibilità sopravvenuta di condividerli.

FACEBOOK DA STRUMENTO DI CONDIVISIONE A GOGNA PUBBLICA

Quando Mark Zuckerberg diede vita a Facebook, lo fece in un’ottica molto più ristretta di quello che poi, in realtà, è diventato.

Lo creò perché fosse un punto di contatto e condivisione all’interno della propria università, di uno spazio piccolo, in cui forse la malcelata invidia del prossimo poteva camuffarsi meglio; ma quando un fenomeno come quello di un social network così onnisciente diventa una vetrina a tutti gli effetti, le ripercussioni smettono di limitarsi all’interazione tra due compagni di corso e finiscono per sfociare, nel migliore dei casi, nella cancellazione dell’account da parte degli utenti che si vedono invasi da insulti.

Se pensate che questa sia una conseguenza marginale o trascurabile, siete in errore: cancellare il proprio account sommerso dalle critiche, in un’epoca in cui si comunica quasi esclusivamente online, è un’autocensura indotta a tutti gli effetti, e non è poco. Senza contare che è anche, con ogni probabilità, l’anticamera dell’implosione dei social, che finiranno perché presto nessuno avrà più niente da condividere o, verosimilmente, non vorrà più farlo.

IL SUCCESSO LOGORA MA SE SI TORNASSE AL VERBA VOLANT…

È nato prima il proprio insuccesso o il successo degli altri? Forse decidere tra l’uovo e la gallina era più facile – pardon: tra l’uovo e l’uccellino di Twitter.
E chissà che un giorno, anche sotto gli occhi dei più scettici, non torni di moda anche quel “verba volant” che diluisce tutto, quell’atteggiamento così “vintage” di rispetto reciproco, magari anche comprare il giornale in edicola senza consumarci i pollici scorrendo le notizie fino a dove sembreranno meno noiose.


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