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Morte del Sole, della Luna, e caduta delle stelle (Cristoforo de Predis, XV secolo)

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L’unica cosa certa è che, finora, si sono dimostrate tutte errate. L’umanità fa da sempre i conti con la consapevolezza che prima o poi ci sarà “la fine del mondo”, e il tema è stato spesso al centro di intere generazioni di popoli che hanno vissuto, in modo più o meno angosciante, qualsivoglia ipotesi circa la fine di tutti sul pianeta Terra. Noi, inclusi, sia chiaro; perché le profezie sono vecchie almeno quanto la presenza dell’umanità, e da allora non hanno mai smesso di vivere, auto-alimentate, probabilmente, da una nostra innata vocazione a risposte più o meno certe (a domande che risposta, invece, probabilmente non ne hanno, almeno nei termini dei percorsi di conoscenza di cui ad oggi disponiamo).

Nelle profezie sulla fine del mondo – che, va ribadito, è un modo antropocentrico di riferirsi alla fine dell’umanità e non, fisicamente, del pianeta Terra – vi è certamente un briciolo di saggezza: quella che ci fa pensare che, così come l’umanità, vincendo moltissime sfide inimmaginabili e anche in modo casuale e fortuito, ha trovato il modo di nascere, certamente al verificarsi di determinate condizioni non avrà più modo di essere. In ogni inizio, insomma, c’è già il germe della fine: magari dopo una lunghissima serie di adattamenti e trasformazioni possibili, ma come cominciano, le cose finiscono. Tutte le cose che hanno a che fare con il concetto stesso di vita.

Ma in realtà, il grande fascino e il seguito che, nel corso dei millenni, le profezie sulla fine della Terra hanno esercitato, hanno motivazioni plurime, ciascuna delle quali rispondente a una precisa categoria di bisogni umani. La prima ragione va forse ricercata nell’aspetto che ha a che fare con la nostra curiosità sull’ignoto. L’essere umano è naturalmente curioso e affascinato dall’ignoto. Le profezie sulla fine del mondo sollevano domande fondamentali sulla natura della vita, della morte e dell’esistenza stessa, che catturano l’immaginazione delle persone. Ma come in una sorta di circuito che si autoalimenta, le profezie apocalittiche spesso alimentano la paura e l’ansia, il che può portare alcune persone a cercare risposte o consolazione nelle profezie stesse.

La paura del futuro e delle catastrofi può spingere le persone a cercare spiegazioni o modi per prepararsi a eventi ipotetici. Su molte credenze, un ruolo fondamentale lo gioca la cultura popolare: le profezie sulla fine del mondo sono spesso presenti nella cultura popolare attraverso libri, film, serie TV e videogiochi. Questi media amplificano l’interesse per tali profezie, facendole diventare parte della cultura di massa. Così, per alcune persone l’interesse per le profezie può essere puramente ludico. La speculazione sulla fine del mondo può essere emozionante, come leggere un romanzo o vedere un film di fantascienza.

Non va trascurato peraltro il fatto che le profezie possono offrire un senso di significato o scopo. Credere che ci sia un destino predeterminato o una spiegazione più profonda per gli eventi può aiutare alcune persone a dare un senso alle sfide della vita. Le profezie possono inoltre dare alle persone un senso di controllo sull’incertezza. Credere di conoscere il futuro può far sentire alcune persone più sicure, anche se queste previsioni sono spesso vaghe e non basate su prove scientifiche: ma su qualcuno può giocare l’effetto di prendere sul serio le profezie apocalittiche, con il conseguente avvio dei preparativi per affrontare eventi catastrofici, ad esempio accumulando provviste, apprendendo abilità di sopravvivenza o persino cercando rifugi sicuri.

Sul tema delle profezie circa la fine del mondo e di eventuali catastrofi – più o meno esplicitate – ad esse legate, gli studiosi hanno lavorato a lungo, soprattutto per cogliere gli aspetti più importanti delle credenze popolari e religiose.
Per certi versi, molti studi convergono sul tema di un preciso bisogno psicologico. Alcuni studiosi suggeriscono che la propensione umana a credere in profezie e credenze apocalittiche possa derivare da bisogni psicologici, come il bisogno di significato, di controllo sull’incertezza e di coerenza cognitiva. Le profezie possono offrire una spiegazione o un senso a eventi complessi o inspiegabili.

Un altro filone di studi addebita invece ad una sorta di teoria del declino morale il fascino delle profezie, che in quest’ottica possono riflettere una preoccupazione per il declino morale della società. Le persone potrebbero vedere il mondo circostante come sempre più corrotto o immorale e credere che questo conduca a una catastrofe imminente. In stretta connessione anche un ulteriore approfondimento: tutto ciò può comportare una sensazione di appartenenza a una comunità di credenti o una sensazione di superiorità morale rispetto a coloro che non condividono le stesse credenze. In aggiunta, l’appartenenza a un gruppo che condivide determinate credenze può rafforzare ulteriormente le stesse credenze.

L’effetto di gruppo può portare le persone a credere in profezie apocalittiche anche se individualmente potrebbero avere dubbi. La cultura e l’ambiente sociale in cui le persone crescono possono influenzare profondamente le loro credenze e prospettive. Se una cultura o una comunità promuove o accetta le profezie apocalittiche, le persone all’interno di quella cultura possono essere più inclini a crederci.

I sociologi hanno condotto ricerche approfondite per comprendere come e perché le profezie si diffondano in determinate comunità o culture, come influenzino il comportamento delle persone e come siano collegate alla religione, alla politica e ad altre sfere della vita sociale. La sociologia ha quindi studiato comunità specifiche che si sono formate intorno a credenze apocalittiche e profezie, cercando di comprendere come queste comunità si organizzino, come si diffondono le credenze apocalittiche al loro interno e come affrontino eventi che contraddicono le previsioni apocalittiche. Questo perché gli studi sociologici esplorano l’effetto delle profezie sulla società in generale.

Ciò può includere l’analisi di come le credenze apocalittiche influenzino il comportamento delle persone, le loro decisioni politiche e sociali, e anche come possano portare a comportamenti di preparazione per l’apocalisse. Le comunità oggetto di studio sono interessanti anche per studiare le dinamiche di gruppo all’interno delle stesse: ciò include la formazione di norme sociali, la coesione del gruppo e il modo in cui le profezie influenzano la struttura sociale e le relazioni interpersonali. Infine, il campo di studi forse più fecondo, quello legato alla religione, con la disamina del ruolo delle profezie nelle diverse religioni e tradizioni culturali: dalle credenze apocalittiche nelle profezie bibliche a quelle tradizioni dei nativi americani, e ancora quelle dei Nuovi Movimenti Religiosi e via di seguito.

Fra i tanti studiosi che hanno dedicato attenzione al tema delle profezie, ricordiamo certamente Merton, noto per il suo lavoro sulla teoria delle devianze e sulla teoria delle aspettative, che ha esaminato tra l’altro come le profezie apocalittiche possano contribuire a comportamenti devianti e come influenzino la società. Accanto a lui, Festinger, famoso per la sua teoria della dissonanza cognitiva, che ha analizzato il comportamento delle persone in situazioni in cui le loro credenze entrano in conflitto con la realtà, comprese le situazioni in cui le profezie apocalittiche non si avverano. Ma come detto, moltissimi gli studi sulle credenze legate alle religioni.

Ricordiamo qui quelli della sociologa britannica Eileen Barker, che ha studiato in dettaglio i Nuovi Movimenti Religiosi e le comunità apocalittiche, permettendo di comprendere in maniera più approfondita come queste comunità si formano e operano. Tema affrontato anche da Rodney Stark e William Sims Bainbridge, che nel loro “The Future of Religion: Secularization, Revival, and Cult Formation” discutono la formazione e la diffusione delle credenze apocalittiche e dei culti religiosi.

Un occhio particolare al caso statunitense, invece, quello di Philip Lamy, che ha condotto studi sull’apocalittismo e le credenze apocalittiche nei movimenti religiosi negli Stati Uniti, esaminando come queste credenze possano influenzare il comportamento individuale e collettivo. Infine, gli studi di Bryan Wilson, britannico che ha scritto su una varietà di argomenti legati alla religione, comprese le credenze apocalittiche e le sette religiose, e quelli di Catherine Wessinger, che ha invece condotto ricerche sulla storia e la cultura delle comunità apocalittiche, concentrandosi in particolare sul ruolo delle donne in queste comunità.

Alcuni studi hanno quindi esaminato il legame tra la religiosità e la tendenza a credere in profezie apocalittiche o ipotesi catastrofiste: tuttavia, è importante notare che i risultati di questi studi variano a seconda del contesto culturale e delle specifiche credenze religiose in questione. Non esiste, insomma, un unico porsi delle comunità religiose di fronte al tema delle profezie sulla fine del mondo, anche a mezzo di catastrofi: alcune correnti religiose possono concentrarsi maggiormente sulla speranza e sulla salvezza, mentre altre possono enfatizzare il giudizio e la catastrofe. In ogni caso, quello che appare chiaro da molti studi è che le persone con una forte fede religiosa possono essere più inclini a credere in profezie apocalittiche perché queste credenze si allineano con le loro aspettative religiose e con l’idea di un futuro divinamente determinato.

Anche se va rilevato come la nostra mente, da sempre, sembrerebbe predisposta ad interpretare alcuni avvenimenti naturali – in cielo così come in terra, acque incluse – come la manifestazione di una volontà altrove determinata ed espressa simbolicamente appunto con dei particolari segni, non c’è dubbio che la fine del mondo sia un concetto inevitabile per chi pensa che ci sia stato un inizio divino. Un inizio e una fine. È la logica conclusione di un cerchio, perché ci appare incomprensibile il concetto che il tempo non esista così come lo percepiamo noi, nella nostra costruzione di un tempo dal volto umano.

In aggiunta, abbiamo appunto l’innata predisposizione a pensare che fenomeni astronomici particolari – allineamento di pianeti (allineamento in prospettica terrestre, tra l’altro, non assoluto), fenomeni rari, terremoti, eruzioni, arrivo e scomparsa di comete e potremmo continuare a lungo – non siano dovuti al naturale svolgersi delle cose ma piuttosto siano segnali che qualcuno ci manda, e che sta a noi interpretarli e comprenderli. Un po’ come accade nel caso delle presunte madonne piangenti o delle apparizioni in diversi luoghi del mondo.

È così che siamo in fondo riusciti ad antropocentrizzare persino la fine del mondo. Quando pensiamo di interpretare i presunti presagi “cattivi” nella natura, lo facciamo proiettando mentalmente, emotivamente e cognitivamente, quello che pensiamo sia naturale. Dimenticandoci che quello che per noi umani è una catastrofe per altre specie può essere la vita stessa o la rinascita. Dimenticandoci che noi stessi siamo stati la causa della scomparsa di moltissime forme di vita sul pianeta. Ragioniamo, insomma, sempre come se il mondo ci appartenesse.

E così, dopo aver addomesticato centinaia di specie animali, proviamo ad addomesticare anche la fine del mondo, disegnandola a nostra immagine e somiglianza. Prefigurandola, in questa prospettiva, come l’epilogo di un disegno nato chissà quando e chissà dove, la degna chiusura del cerchio che avverrà per mezzo di una sorta di rivelazione, un epilogo già scritto. Probabilmente qualcuno è convinto, in cuor suo, che una parte di noi si salverà, che il bene prevarrà sul male, e che i pochi superstiti magari serviranno a ricominciare un nuovo ciclo vitale per una umanità rinnovata, nel corpo e nello spirito.

E se la ragione vera fosse che abbiamo paura della fine, che abbiamo insomma incorporato la consapevolezza che è già successo ad altre specie di scomparire del tutto e per sempre? Servono forse a questo le profezie sulla fine del mondo? A calmare le nostre paure su come e quando tutto finirà?

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