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Fino al 6 Novembre, presso il Parco Archeologico di Segesta è in esposizione "Nella natura come nella mente", nella foto (tratta da www.exibart.com) una delle installazioni

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Difficile immaginare una insensatezza come la mostra o quello che sia, insomma, l’operazione nel Parco archeologico di Segesta, “Nella natura come nella mente” e cioè l’inserimento di opere di arte contemporanea proposte dalla Fondazione Merz in prossimità del tempio di Segesta.

L’idea è quella di proporre una riflessione sul rapporto tra scienza, arte e paesaggio e convocare la fondazione Merz che a Palermo ha una programmazione ai cantieri culturali della Zisa che è evidentemente una contaminazione del mondo con un altro, nella considerazione, solenne e retorica, della capacità di conciliazione della storia con il presente di questa fondazione che è chiamata, nel sito archeologico, per disporre opere di Mario Merz, Ignazio Mortellaro e Costs Varotsos.

È assai singolare vedere, in un luogo sublime, perfetto, la cui integrità è sacra come è sacro il significato del tempio, un’opera già vista e prevista di Mario Merz come “Un segno nel foro di Cesare” che è una spirale luminosa e poi, sempre di Merz, la “Fibonacci sequence”, con l’idea che forma e numero richiamino l’essenza della natura.

Sono confusi propositi di cui non si intende l’esito nelle opere compiute. Poco lontano da questo serpente al neon c’è l’opera di Mortellaro, “Primo punto dell’ariete” : è una torre alla cui sommità è installato un corno d’ariete, con un riferimento alle scale utilizzate nelle chiese e nelle biblioteche: sempre idee confusamente provocatorie.

E la spirale di Merz viene poi materializzata, aldilà dell’idea di luce, in una lunga e ingombrate installazione di Costs Varotsos in ferro e vetro, con l’obiettivo di evocare concetti di luce, trasparenza, energia, movimento che non si intendono affatto. Tutto questo è sostanzialmente mostruoso.

Il risultato è un serpente che sembra, come un siluro, colpire il tempio, mentre nel luogo dove interviene Merz vediamo i neon che sono una piccola idea di grande ambizione. La proposta è diventata realtà con il consenso dell’assessore Samorà, persona di buon senso che si è occupata meravigliosamente dei pastelli, dei dipinti, di Casimiro Piccolo e che conosce la dimensione esoterica concepita con tecnica che non sia mera provocazione. Ed entra nel merito, dicendo che la regione promuove la ripresa di missioni archeologiche: e questo è positivo. Mentre propone “nuovi codici di lettura, come nel caso di Segesta, con grandi artisti.”

Grandi? Merz ha avuto notorietà, ma la grandezza è un’altra cosa e non credo neppure lui abbia mai viste e sentite come necessario le opere di Ignazio Mortellaro e Costas Varotsos. Non mi pare si possa dire che sono grandi opere, di grandi artisti che “entrano in dialogo diretto con spazi dove la natura e la storia sono parte di un’unica offerta culturale”.

Che poi queste trovate si concilino con il tempio di Segesta credo sia tecnicamente impensabile, se non attraverso una forma di fanatismo che è difficile attribuire alle istituzioni o non dovrebbero favorirlo. E invece la direttrice del parco archeologico di Segesta, Rossella Giglio, è convinta che “offrirà ai visitatori nuove suggestioni per il dialogo tra patrimonio archeologico e creatività contemporanea”. Sono parole vuote per immagini insensate, ed è inquietante che questo avvenga in Sicilia.

La miglior risposta è di Andrea Tusa, figlio del mio successore, come assessore ai beni culturali della Sicilia, Sebastiano Tusa, morto tragicamente, il quale non avrebbe mai consentito questa inverosimile contaminazione, che viene accolta nell’indifferenza e nel silenzio, e che è la testimonianza di una totale assenza di rispetto per la sacralità dei luoghi e per la grandezza solitaria, che non ha bisogno di altro che del suo rapporto con la natura, del tempio di Segesta.

Scrive Tusa: “questo è lo sport preferito, ormai, nei nostri parchi archeologici. Spettacoli , balletti, sfilate di moda , installazioni di arte contemporanea, poco importa se siano belle ma in tema con il paesaggio. Tanto, una volta che sono riusciti finalmente a cacciare gli archeologi, possono fare tutto ciò che vogliono, nessuno fa niente, nessuno dice niente.

Abbiamo assistito alle peggiori politiche possibili e immaginabili nel campo del patrimonio culturale in Sicilia. È veramente vomitevole come hanno sfruttato e infangato il nome di mio padre, prendendo in giro anche i suoi figli. Fanno solo pena e basta”. Spero che Nello Musumeci, Presidente della Regione, vada a Segesta e, vedendo quello che è avvenuto, dia il suo giudizio e trovi il modo di restituire solitudine e sacralità a quel luogo, senza ambiziose e presuntuose installazioni.


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