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Julius Evola, &quot;Five o' clock tea&quot;, 1917-1918, Fondazione Brescia Musei (foto dal sito www.mart.tn.it)

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COME non sa distinguere un lampeggiante di ordinanza, garantito dal Ministero degli Interni, con un agente di scorta, dal faretto “abusivo” di Alberto Tomba, così Massimo Minini, che pure ha molto frequentato l’arte contemporanea, mostra di non capire che, nella polemica su Evola, non c’entra nulla la buona o la cattiva pittura. I pittori moderni, a partire dalle avanguardie, sono spesso “cattivi”, ma non si giudicano per la loro preparazione accademica, bensì per le loro idee.

E, su questo, un critico modesto come Demetrio Paparoni ha inquinato le acque, pretendendo, come molti entrati nella questione, di giudicare l’idea della pittura astratta di Evola, tra il 1915 e il 1921 ,con le posizioni del medesimo, nel 1937, sulla difesa della razza, della quale nessuno si era preoccupato in Italia, fino a quel momento, durante il Fascismo, e figuriamoci prima. Tanto è che il podestà di Ferrara (dal 1926 al 1938), Renzo Ravenna, grande amico di Italo Balbo, era ebreo.

L’incompetenza di Paparoni e di altri è proprio nel giudizio sulla pittura, con il vizio della posizione politica, di un antifascismo pretestuoso e di maniera. Arrivando ad auspicare una mostra con altri e meglio dipinti quadri di Evola, che non esistono, perché la mostra del Mart, curata con il massimo impegno da Beatrice Avanzi e da Giorgio Calcara (LEGGI), è la più completa mai fatta, e altri quadri non si conoscono.

Interviene nel dibattito Massimo Minini, e scrive: “La recente mostra di Evola, al MART (lo dico senza ironia) dove Sgarbi è Presidente, Direttore, Segretario (e forse non visto di notte fa anche le pulizie prima di inforcare l’ammiraglia piena di libri col faretto blu come quello di Alberto Tomba), Sgarbi dicevo ama stupire insegnandoci che il grande fiume della storia dell’arte trascina di tutto: ricchi e poveri, il buono, il brutto e il cattivo. Lui scava nel passato per riabilitare artisti incompresi e a volte ci porge una perla. Forse lui ci offre tutto questo per vedere se riusciamo a trovare le differenze tra Raffaello e Francesco Francia. Evola è certamente un cattivo pittore, basta guardare i dipinti e comparare. Demetrio Paparoni ha ragione, la sua analisi è perfetta ma spara sulla croce rossa… in questo senso trovo che il padiglione Italia di Sgarbi in Biennale fosse esemplare: l’ho visitato tre volte e ancora oggi mi aiuta a capire. Sgarbi è il grillo parlante delle arti: parla benissimo e quasi ci convince, per fortuna gli artisti ci aiutano a dargli torto, a smentirne gli assunti. Evola poi ce la mette tutta. I suoi dipinti del Dopoguerra parlano chiaro: spiegano anche a chi non vuole capire la differenza tra Ventrone e Paolini. Potrebbe essere un bel dibattito, non vi pare?”

Dispiace l’ironico, e anche affettuoso, vaneggiare di Minini su Evola perché, avendo egli proposto ( e noi insieme a lui realizzato, proprio al Mart) una mostra su “Arte ed Eros”, con opere di Pierre Klossowski, si è messo nell’angolo da solo. Perché’, infatti, Minini, ha voluto una mostra su Klossowski? Per le sue idee, per la letteratura. Non certo perché era un notevole pittore. È evidente a tutti, con il metro dei nostri critici neoaccademici e neomelodici, che Klossowski è un cattivo disegnatore, e che esprime una sua ossessione, di indiscutibile interesse. Per capire che non sa disegnare basta confrontarlo con suo fratello: Balthus.

Non si giudica Klossowski con il metro della qualità pittorica, ma della tensione psicologica. Lo stesso vale per Evola che, con i suoi lampeggianti di ordinanza, si esprime, con evidente coerenza, nell’ambito dell’astrattismo e del dadaismo. O Minini vorrà applicare il principio della buona pittura anche ai dadaisti? Dispiace, perché dovrebbe iniziare a fare le pulizie nel mondo della cattiva critica. D’altra parte, si preoccupa di un confronto, non impossibile ma inutile, fra Luciano Ventrone e Giulio Paolini, diversamente concettuali, non pittori. Ognuno sta bene a casa sua. A meno che, invece che sul piano antropologico, non si vogliano valutare gli uomini dall’arredo delle loro case.


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