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C’è stato un tempo in cui l’aggettivo “enciclopedico” non richiamava soltanto a qualcosa di ingombrante, troppo grande e invadente e custode di strati e strati di polvere. C’è stato un tempo in cui le enciclopedie erano sinonimo di regali di nozze, investimenti per l’età adulta dei figli, complementi d’arredo e fonte del sapere: una maestosa collezione di volumi elegantemente rilegati che hanno per anni testimoniato il benessere e la cultura di una famiglia e che adesso le giovanissime generazioni, tra i banchi, chiedono che cosa sia un’enciclopedia. Una linea temporale, quella delle enciclopedie, tracciata in maniera molto netta e calcata fin dall’antica Roma, con la Naturalis Historia di Plinio il Vecchio che inaugura il concetto di “sapere monumentale”.

Del resto, “enciclopedia” discende dal greco “enkyklios” e “paideia”, che significa “educazione circolare” ed esprime appieno la concezione del “sapere rotondo”, a trecentosessanta gradi.

L’enciclopedia come vero e proprio volume, invece, s’intravede per la prima volta nell’Illuminismo, accanto ai Trattati che contraddistinguono l’Età dei Lumi. La prima compare infatti proprio a Parigi, tra il 1751 e il 1772, forgiata dalle conoscenze da più di cento intellettuali (tra cui Rousseau e Montesquieu) che mettono per iscritto il proprio sapere. Per la prima volta la conoscenza era a portata di mano, nonostante le pressioni della Chiesa che accusava i costruttori dell’opera di eresia, incontrando la resistenza di Diderot che pubblicò l’enciclopedia. In Italia il baluardo delle enciclopedie che ancora regge il colpo di internet e ha virato egregiamente verso una dimensione dell’enciclopedia e dei vocabolari online è proprio la Treccani. Non a caso, l’Istituto dell’Enciclopedia Italiana vide la luce il 18 febbraio del 1925 a Roma, su iniziativa di Giovanni Treccani. Prima di quel momento non vi era stato mai, in Italia, un così ampio riferimento dal punto di vista culturale, e l’Istituto Treccani riuscì nell’impresa di pubblicare la prima versione dell’enciclopedia nel 1929: trentacinque volumi da migliaia di pagine l’uno, che immediatamente raggiunse un successo folgorante.

Oggi l’enciclopedia è diventata perlopiù un ricordo ereditato dai nonni o un investimento sull’istruzione dei figli che la generazione cinquantenne di oggi ricorda con nostalgia e piacere. C’è chi possiede la Einaudi, realizzata tra il 1977 e il 1984, chi più avanti utilizzò la Utet che vide la sua prima edizione originale nel 1933. L’enciclopedia era davvero considerata un bonus nelle case degli italiani, lo è probabilmente perfino adesso che rimane un ricordo che calca gli scaffali dei salotti moderni. Ce li immaginiamo facilmente, quei volumi così ben rilegati, attaccati l’uno all’altro perché così sono stati concepiti: per essere sfogliati insieme, uno alla volta, ma insieme, come fossero un unico contenitore, forse azzarderemmo anche un unico concetto.

Treccani oggi è un sito internet che ricalca la propria granitica storia ripercorrendone le tappe. Adesso il sito contiene una sezione dedicata all’e-commerce (che meriterebbe un posto in ogni enciclopedia) all’interno della quale si possono acquistare anche le più disparate varianti dell’enciclopedia, da quella per ragazzi a quella medica, fino anche a quella psicologica. Riguardo quella medica è il caso di aprire una parentesi indissolubilmente legata alla pratica universalmente diffusa delle autodiagnosi su Google, vale a dire: orde di sedicenti medici a costo zero che digitano online i propri sintomi per scoprire cos’hanno, ritrovandosi a fare i conti con gli orrorifici risultati di ricerca che danno loro al massimo tre giorni di vita. L’enciclopedia medica non ci salverà forse dal bisogno frenetico di sfuggire ai consulti medici che a quanto pare mostriamo in tanti, ma di certo, grazie all’Almansore, trattato di dieci libri che ha costituito la prima vera enciclopedia medica d’Italia, ha rappresentato una delle più importanti ramificazioni del mondo del sapere su carta.

Da lì, il Delta dell’enciclopedia ha preso il volo anche in àmbito strettamente letterario, con i volumi di Ludovico Geymonat che abbracciano tutta la filosofia da Parmenide all’età moderna. Un sapere così esteso e condiviso, quello dell’enciclopedia, che non può non richiamarci alla mente due personaggi che di quel sapere si fecero portavoci, ovvero il venditore di almanacchi e il “passeggere” protagonisti dell’omonima Operetta Morale di Giacomo Leopardi. Simbolicamente, il passeggere rappresenta colui che si pone le domande, che forse cerca le risposte là dove difficilmente potrebbe trovarne. A stretto giro potremmo definirlo quasi un filosofo che non si accontenta delle mezze risposte e dei mezzi concetti, qualcuno che vorrebbe saperne molto di più sulla natura dell’uomo e che incalza, per questo, il venditore di almanacchi il quale, invece, si limita a rispondere alle domande senza premurarsi di guardare oltre.

Fortunatamente per noi, il discorso tra il venditore di almanacchi e il passeggero andava virando verso il concetto della felicità e della sua attesa, fintanto che si prende consapevolezza della propria infelicità. Nel nostro caso, le risposte alle domande finivano sempre per essere trovate tra le pagine delle enciclopedie. Tutto questo prima che intervenisse a gamba tesa il sapere “salvaspazio” di Wikipedia e di internet, grazie al quale oggi le ricerche a scuola sono spesso svolte per mezzo di un asettico copia-incolla dalle pagine per studenti più accreditate e diffuse – stessa sorte delle versioni di latino e greco, del resto: più che almanacchi, pare che qui si stia vendendo tanto oro quanto pesano le verifiche in classe.

C’è stato perfino un tempo in cui le enciclopedie facevano parte di vere e proprie condizioni contrattuali: negli anni Novanta, quando spopolavano famose competizioni canore per bambini, per procedere nell’iter di selezione dei piccoli fortunati che sarebbero arrivati a cantare attraverso gli schermi della televisione era necessario passare per l’acquisto di alcuni volumi di enciclopedie. Vogliamo illuderci che sia quasi un messaggio subliminale che vuole dire: se non studi, non passi, anche se sappiamo che non è esattamente così. Il valore delle enciclopedie, anche economicamente parlando, era abbastanza alto e prestigioso da poter vincolare i genitori dei bambini che procedevano nelle selezioni canore. Insomma, l’enciclopedia era una cosa seria. Quasi ci rammarica che ci siano generazioni che non sapranno mai cosa si prova a salire su una sedia per recuperare un volume di mille pagine dagli scaffali più alti, pensiamo a quelle che dovranno “googlare” l’enciclopedia per sapere cosa sia e quasi speriamo che, aprendone una, compaia magicamente una pagina dedicata perfino a loro, a un mondo tecnologico e avanzatissimo che quel sapere così sconfinato non poteva ancora conoscere, ma che ci dava l’impressione di stare già aspettando, saggiamente, prima di chiunque altro.


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