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La mappa di Eurasia

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Se nel calendario cinese il 2022 è l’anno della tigre, in un ipotetico calendario geopolitico questo sarebbe, per altri versi, l’anno dell’Occidente, non per particolari meriti o successi in questo caso acquisiti, ma perché è stato investito da una bufera molto più devastante – e sicuramente anche assai più lunga – di quella che lo aveva travolto con il virus cinese e il conseguente caos pandemico. La guerra che la Russia ha sferrato all’Ucraina è infatti anche una minaccia all’intero Occidente – in primo luogo all’Europa –, una sfida che esso deve necessariamente raccogliere e che lo proietta in cima alle preoccupazioni di tutti i paesi del mondo: alcuni temendo che esso possa prevalere, altri – quelli che ad esso fanno riferimento – preoccupati per la sua (e quindi loro) sorte, sperando di vincere questa sfida ma nel contempo temendo di uscirne sconfitti.

Al centro dunque dell’attenzione dei paesi e dei popoli che ne fanno parte, e degli sguardi interessati di molti paesi esterni, Occidente è la parola chiave di questo snodo della storia, che presenta aspetti inediti, allarmanti e sconvolgenti, ma pure alcuni non meno inquietanti riflessi di un periodo che sembrava archiviato, quello della guerra fredda ovvero del confronto duro fra mondo libero e Unione Sovietica.

Ma l’Occidente è un tema che è stato indagato e dissodato così ampiamente che la gran parte dei discorsi sembra oggi ripetitiva, e in molti casi effettivamente lo è, soprattutto in una delle formulazioni più ricorrenti, che lo mostra come guscio svuotato da ogni valore e condannato all’estinzione. Troppo scontato vedere solo oggi ciò che sta accadendo da oltre mezzo secolo; poco istruttivo denunciare oggi i meri effetti di una crisi che ha cause lontane e raramente esaminate in quanto tali, come appunto cause.

Diversamente accade se la questione occidentale viene affrontata da lontano, seguendo linee occultate dal clamore della chiacchiera intorno ad essa. Si vedrà allora che l’Occidente è flagellato da un caos diventato via via più pervasivo, e che i padroni del caos sono interni nella forma ma anti-occidentali nella sostanza; che il contrasto è tra un Occidente formale, formalizzato cioè dalla burocrazia politica e dal positivismo scientistico, e uno vitale, oggi in grande sofferenza, che si nutre dello spirito dei popoli e che si muove lungo percorsi che nessuna burocrazia potrà mai schedare; che tale contrasto si disloca anche sul terreno della libertà, trattata oggi come un fronzolo e non applicata come il nucleo pulsante della nostra civiltà; che una globalizzazione acefala, per quanto sofisticata, consente che la tecnoscienza si stia impossessando dell’esistenza umana anziché esserne al servizio.

“Quadrante Occidentale” di Renato Cristin (Rubbettino)

Questi sono alcuni dei principali esiti teorici a cui sono approdato, ed è sulla loro base che ora il quadrante occidentale va collocato nella tempesta d’acciaio che la Russia ha scatenato e che riporta l’Europa a epoche di guerra che credevamo svanite con l’abbattimento del Muro di Berlino. Di fronte a tutto ciò, le semplificazioni non solo non bastano ma sono pure dannose, perché contribuiscono al quel caos che sfibra ed erode la mente occidentale.

Perciò, approfondire una riflessione severamente critica sul senso e sul destino dell’Occidente proprio ora che sta subendo un’insidiosa minaccia, lungi dall’avere implicazioni disfattiste, ha il valore terapeutico (oltre che diagnostico) di una rigenerazione. Da un lato, ovviamente, occorre fare quadrato intorno al vessillo occidentale contrapponendosi a quell’Eurasia con cui la Russia putiniana vorrebbe sostituire l’Europa; ma dall’altro lato è necessario fare qui ed ora lo sforzo di meditare fino in fondo sull’Occidente inteso come il nostro orizzonte culturale, filosofico, politico, civile e spirituale, per capire dove e cosa la composita e articolata leadership occidentale ha sbagliato nel corso dell’ultimo mezzo secolo.

Tutto ciò nella convinzione che questo lavoro di ripensamento non distoglie l’Occidente dal difendersi dalla minaccia russa attuale (come pure da quella cinese o iraniana), anzi ne costituisce un rafforzamento proprio perché si chiarirebbero così quegli errori che lo hanno talmente indebolito che l’ex-URSS ha potuto sfidarlo non solo sul piano militare ma anche su quello culturale, con forti argomenti ovvero armamenti sul primo terreno, con argomenti deboli e fallaci su quello spirituale.

Ma se l’aggressione viene da altrove, gli errori sono interni e consistono, principalmente, nella burocratizzazione della politica e della scienza che ha prodotto una crisi di legittimità dello Stato, nel nihilismo che caratterizza l’orientamento della leadership politica e culturale; nella secolarizzazione radicale che ha prodotto una crisi di valori causata dall’abbandono dell’identità; nella tecnificazione del pensiero e della cultura; nel meccanicismo positivistico che si è impadronito delle istituzioni e della società, con il conseguente stravolgimento dell’idea di libertà, diventata un impaccio di cui sbarazzarsi (il caso dell’illiberale gestione politico-sanitaria della pandemia è emblematico) o un paravento.

Dalla mia prospettiva, la soluzione della questione occidentale richiede, detto per sommi capi: l’unione fra liberalismo e conservatorismo per invertire il declino causato dal politicamente corretto; il ripristino dei valori spirituali e civili della tradizione ebraico-cristiana; la difesa del sistema capitalistico; la rivalutazione dell’idea di nazione come nucleo della più ampia idea di appartenenza occidentale; il recupero di un pensiero antico e al tempo stesso sempre nuovo che trova in Platone il suo perno essenziale; l’affermazione dei concetti di libertà e verità come cardini della rigenerazione dello spirito. Se dunque la crisi dell’Occidente è in primo luogo una crisi di senso, occorre riarmonizzare il nome Occidente con la cosa Occidente, oggi scissi da un pragmatismo nihilista che ha stravolto la cosa sequestrandone il nome.

Secondo una vulgata non tanto marginale emersa dopo l’attacco all’Ucraina, la Russia sarebbe in grado di salvare l’Occidente malato perché potrebbe infondergli quei valori che esso ha perduto. Ma l’eurasianismo non potrà mai salvare l’Occidente, perché i valori del nuovo sovietismo sono per lo più antitetici ai nostri. L’Eurasia è altro dall’Europa, la quale, nonostante la degenerazione burocratico-politica in cui sono cadute le sue istituzioni, resta il nostro spazio civile e la nostra atmosfera spirituale, a cui sono intimamente connessi gli Stati Uniti e tutti gli altri paesi, Israele ovviamente incluso, che formano l’Occidente geopolitico. L’idea di Eurasia è oltretutto una trappola in cui Russia e Cina vorrebbero far cadere l’Europa, per ridurla ad appendice non solo geografica – a «piccolo promontorio del continente asiatico», secondo le parole di Valéry –, ma anche e soprattutto economica, militare, politica e perfino culturale.

In questa tagliola si può cadere per cecità oppure per consapevole intenzione anti-occidentale, ma in entrambi i casi si affida la nostra civiltà ad altro; invece da nessun’altra parte potrà giungerle aiuto, perché è in Occidente che sono nati e si sono affermati i concetti cardine della nostra civiltà, libertà e verità, e soltanto il loro pieno e interiorizzato dispiegamento rappresenta la salvezza. Soltanto l’Occidente dunque può salvare se stesso, a patto però di avere memoria profonda di sé e non retorica patinata, perché solo la rimemorazione permette la rigenerazione (che è l’opposto della decostruzione), e solo la conservazione dell’identità nei cambiamenti storici consente di continuare a esistere.


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