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Janara

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San Gennaro che fa capricci lo sa quanto è femmina Napoli! All’indomani del 16 dicembre, giorno in cui il sangue non si è miracolosamente sciolto, mia sorella Gabriella, come l’arcangelo, enuncia: stiamo “buttando” troppo sangue! E il mancato appuntamento di san Gennaro per me ha un significato positivo: non sarà più versato sangue in questa città”.

Le donne in questa città hanno il potere di trasformare i peggiori presagi in nuovi auspici. E mescolano lo spirito col corpo attraverso l’atto del rimboccarsi le maniche. Sto ascoltando in questo momento l’astronauta e cosmonauta Roberto Vittori. Il mio supereroe. Siamo entrati nell’era della space economy. La Nasa comprerà servizi e non realizzerà più shuttle. E il lancio non sarà più autorizzato dalla NASA, ma dalla Federal Aviation Administration. Cambiano le regole e cambiano gli attori.

Mentre Vittori racconta di idrogeno e di luna la mia fantasia e i miei salti quantici, mi lanciano in un ricordo non molto lontano. Nel Natale 2002, sempre una donna, l’artista Rebecca Horn invade Piazza del Plebiscito con 333 teschi fusi in ghisa e 77 luci al neon circolari. E mentre Vittori parla di cose “immaginarie” che nei prossimi anni si coltiveranno sulla luna, io sto già immaginando una prossima mostra d’arte sulla Luna. Beh, solo un visionario come Maurizio Morra con la sua Fondazione di arte contemporanea mi verrebbe dietro. Sento già la musica di Principe e Socio dopo tappa a Sanremo. E la luna arrossisce.

Ritornando all’artista tedesca, anche lei coglie un aspetto fondamentale di questa città piena di ossimori: è pervasa dalla cultura della morte. La vita e la morte vivono sullo stesso piano e questa condizione si esplica attraverso una religiosità profana. Qui abbiamo “confidenza” con la morte e le anime non ci lasciano mai. Il sacro misto al profano, altro ossimoro, era già confermato dalle Lares familiares vere e proprie divinità protettrici della famiglia. Quella di rendere omaggio ai defunti attraverso le icone e le statuette è un’usanza pagana. E non è un caso se a Napoli i luoghi legati al culto dei morti sono il Cimitero delle Fontanelle o la chiesa del Purgatorio ad Arco. Gli stessi luoghi erano destinati in epoca greco-romana a funzioni sacre e misteriche.

E proprio quando attraversi la chiesa del Purgatorio ad Arco, si avverte di più la sensazione che la consegna dell’anima ai cieli e quindi a Dio deve passare dalla contrattazione umana. E come avviene? Attraverso l’adozione della morte. I vivi adottano questi teschi senza nome per agevolarne il passaggio ad altra vita. Dio, qui, paradossalmente, non comanda deve contrattare col vivo.

Del resto, qui, la promiscuità con la cultura della morte e la morte come fonte di vita e di speranza, in un certo periodo della storia partenopea, rappresenta l’unico rifugio per i vivi di fronte all’incombenza della disperazione. E la terribile pestilenza del Seicento, pare si fosse abbattuta, con i suoi circa trecentomila morti, sulla città a causa dei peccati della popolazione. E allora i vivi decisero che era giunto il momento di venerare la morte per espiare i propri peccati. E quell’empatia e sodalizio tra vivi e morti avviene attraverso l’adozione di una “capuzzella”.

Il vivo restituisce dignità e identità al volto/teschio senza identità. La capuzzella, il teschio e quindi il morto in cambio esaudisce la preghiera del vivo. In alcuni dei teschi conservati nelle catacombe sono stati rinvenuti messaggi e richieste, come quella della famiglia Lista. Il messaggio è datato 3 aprile 1944 per loro figlio Ciro che partito come soldato durante la Seconda Guerra Mondiale a seguito dell’Armistizio non aveva fatto ritorno: La famiglia dell’Aviere Lista Ciro trovandosi senza notizie di suo figlio da pochi giorni dopo l’Armistizio e quindi sono otto mesi ed essendo devota di voi aspetta con tanta fede da voi la bella grazia. E dopo il capitano, mi imbatto in Donna Concetta “a capa che suda”. L’unico teschio non impolverato, ma sempre lucido. Allora accarezzo il teschio, a mo’ di cura. Esprimo un desiderio. E la mia mano è umida. San Gennà, il miracolo è fatto!

Ritorno alla space economy con un salto quantico. Allora cosa possiamo coltivare sulla luna? E la luna, come è naturale che sia, sarà la stazione preferita delle janare. È l’intersezione di due cerchi di uno stesso raggio. E il suo lato “crescente” guarda al passato, ma anche all’infanzia e alla genesi. Il suo prosperante, invece, porta fecondità, rinnovamento. E la rinascita, si sa, è femmina. Per i musulmani, l’unico elemento che vive è la luna perché indica la fine del Ramadan. E proprio qualche notte fa abbiamo festeggiato la notte più lunga dell’anno che si celebra al solstizio d’inverno nell’ultimo giorno di Azar, l’ultimo mese dell’autunno. Yalda in lingua siriaca,  significa rinascita  ed è festeggiata col melagrano e l’anguria non solo in Iran ma anche in Azerbaijan, Tagikistan, Afghanistan, Pakistan, Kurdistan e nella parte dell’India che parla persiano, e da tutti gli iraniani sparpagliati.

E in quello stesso giorno, il 21 dicembre, nel giorno più corto dell’anno, si è festeggiato il compleanno di Napoli. Che ossimoro! Non è un caso che la fondazione di una città coincida con un fenomeno astronomico come il solstizio. 2500 anni fa i cumani lo sapevano. Allora, volo sul volto di una donna che brilla nel campo da calcio costruito sotto la rampa della strada sopraelevata che porta a  San Pietro a  Patierno, periferia a nord di  Napoli. I suoi tratti argento vivo sfumano verso il nero. Quel volto, in realtà, è composto da molte piccole facce. È un grande mosaico. Questi piccoli volti simboleggiano quei ragazzi che furono massacrati, alcuni uccisi, in  Iran  durante la  Rivoluzione Verde del 2009. Nafir, street artist tra i più creativi, nel periodo della rivolta dipingeva questi volti con lo stencil proprio sulla pittura nera che la polizia del governo della Repubblica Islamica faceva stendere sulle scritte dei ragazzi per censurarle. Per Nafir è possibile cancellare le scritte degli studenti, ma non i loro volti e la loro  voglia di libertà. E allora lo stesso messaggio può valere per i bambini di questo quartiere come forma di riscatto da condizioni precarie e disastrose che nessuno può cancellare neanche la città.

Durante la notte di Yalda le famiglie iraniane si riuniscono per aspettare l’alba e per celebrare il sole. E se introduce anche l’inverno è una festa contro l’oscurità che guarda all’estate, verso la nuova luce. Non è diversa dal natale cristiano. Di origine mitraica nell’antica Roma era deus sol invictus, si festeggiava la rinascita del sole dal 17 dicembre al 25, finché Costantino non obbligò a cambiare la festa con i festeggiamenti in onore della nascita di Gesù.  Il simbolismo cristiano delle  candele e delle luci sull’albero rimandano a Mitra. Mentre voi pensate a questo, io già sto installando le capuzzelle di Horn sulla superficie lunare. L’immaginario di ieri è la scienza di oggi.

Leggendo Hafez, il poeta iraniano: Apri, dunque, se bussa alla porta una volta in un anno il poeta, perché sono lustri che quegli sospira il mio volto che è simile a luna.

Dalla Luna è tutto, …

Buona Terra!


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