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La benedizione di Cristo di Antonello da Messina (1465)

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“Chi sono io per giudicare?”. Le parole di Papa Francesco, pronunciate nel 2013, pochi mesi dopo l’elezione al soglio di Pietro, di ritorno dalla Giornata Mondiale della Gioventù di Rio de Janeiro, lasciavano presagire l’inizio di una nuova stagione della Chiesa cattolica nei confronti delle persone omosessuali.

Da allora sono trascorsi otto anni. In talune circostanze si è parlato di accompagnamento, di accoglienza, di disponibilità pastorale. Ma il tutto tra alti e bassi, in maniera all’apparenza ondivaga. Nel Sinodo dei vescovi sulla famiglia del 2015 si è ribadito che “ogni persona, indipendentemente dalla propria tendenza sessuale, vada rispettata nella sua dignità e accolta con rispetto” (“Relazione finale”, 76). Poi, nel 2018 Papa Francesco ha sottolineato che la “famiglia umana come immagine di Dio, uomo e donna, è una sola”.

Mentre nel 2020, tra una smentita e l’altra del Vaticano, è sembrato che lo stesso Pontefice guardasse con favore alla tutela civile per le coppie fra persone dello stesso sesso. Infine (per ora…), lunedì scorso la Congregazione per la dottrina della fede ha escluso la possibilità di una benedizione per le coppie omosessuali, mettendo nero su bianco, se mai ci fosse qualche dubbio a riguardo, che il Papa è stato informato e ha dato il suo assenso alla pubblicazione del documento. 

Ciò, proprio nel momento in cui in Germania i cattolici vivono un’esperienza sinodale di dibattito e di confronto su nuovi cammini pastorali e tra i punti all’ordine del giorno rientra anche quello delle benedizioni delle unioni omosessuali.

A volte, si sa, le coincidenze…

Se molti vescovi e fedeli tedeschi (non solo, ad onor del vero) ritengono che la questione sia talmente delicata e complessa da non poter essere risolta d’autorità con un “no” secco, l’ex Sant’Uffizio pare determinato nel confermare la dottrina cattolica, quella tradizionale: le unioni fra persone dello stesso sesso rappresentano scelte e prassi di vita “oggettivamente ordinate ai disegni rivelati di Dio”.

Ne consegue che la Chiesa, scrive il dicastero romano, “non benedice né può benedire il peccato”. Sì, è vero: ogni giorno, tutti i giorni, sono benedetti persone, animali, cose più varie. Persino le armi, è capitato (e capita, purtroppo). Ma le unioni omosessuali no, queste no. Al limite, possono essere benedette le persone omosessuali, prese singolarmente, non in due. D’altronde, il Catechismo della Chiesa cattolica (1992) in materia non ha subìto modifiche: gli atti omosessuali sono “intrinsecamente disordinati” perché “contrari alla legge naturale” e “in nessun caso possono essere approvati”. Inoltre, ad essere “oggettivamente disordinati” sono tanto gli atti quanto le “tendenze omosessuali”, specie se “profondamente radicate”.

E, malgrado l’obbligo del celibato, non può diventare sacerdote cattolico chi “pratica l’omosessualità”, chi presenta “tendenze omosessuali profondamente radicate” e chi sostiene la “cultura gay” (Istruzione della Congregazione per l’educazione cattolica, 2005). È questo l’insegnamento ufficiale della Chiesa. E nonostante il primo pontefice latino-americano, parlando a braccio con i giornalisti, si fosse lasciato sfuggire l’espressione: “chi sono io per giudicare?”, a proposito degli omosessuali, nulla è cambiato. Anzi, la conferma di una formale esclusione della benedizione rincara la dose. Il tutto si gioca sul concetto di natura. Il terreno sul quale si cammina è la filosofia di San Tommaso.

 Per farla breve, l’uomo è naturalmente inclinato verso alcuni beni: vita, salute, libertà, conoscenza… I rapporti tra uomo e donna sono finalizzati alla generatività biologica, in quanto orientati alla vita. Lo stesso non può dirsi per quelli omosessuali. Ne deriva che l’ordine della natura è violato. La logica può sembrare stringente, ma è sempre rapportata all’interno di un sistema concettuale ben definito, quello tomistico. È sufficiente provare ad uscire un po’ fuori, che diverse premesse con relative conclusioni cadono inesorabilmente. Ad essere in discussione non è il tentativo di inserire l’azione dell’uomo all’interno di un ordine razionale. Il problema sta nell’imprimere un valore etico alla natura, o meglio ai fatti naturali.  La circostanza che in natura un rapporto fra persone dello stesso sesso non implica generatività biologica non è di per sé giusta o sbagliata. È semplicemente un fatto.

 Certo, non è semplice per la Chiesa superare secoli e secoli di tradizione tomistica. Non lo riuscirà a fare un Papa, e neanche un gruppo di vescovi. È necessario che una diversa coscienza ecclesiale maturi dal basso, dai fedeli tutti, dalle donne e dagli uomini del nostro tempo, attraverso spazi di incontro e strumenti di partecipazione sinodale, come sta avvenendo in Germania; probabilmente anche grazie ad un concilio, come sostiene Luigi Sandri. Questa coscienza deve poi farsi (finalmente) mobilitazione. Ci vuole una circolazione critica delle idee, delle conoscenze, dei saperi. Quando l’autorità ecclesiastica sentenzia, in maniera categorica, che l’unione omosessuale è peccato e che quell’unione non può essere bene-detta da Dio, interviene (drammaticamente) sulla vita delle persone e sui progetti esistenziali. Come può l’amore di Dio escludere due uomini e due donne che sperimentano questo stesso amore nella verità di una relazione sincera? si è chiesto Dea Santonico, mamma di un figlio omosessuale, in una bellissima lettera aperta a Papa Francesco. D’altronde, diverse confessioni cristiane (chiese luterane, anglicane…) ormai riconoscono forme religiose, anche matrimoniali, di unioni omosessuali.

E ci sono stati, ci sono, preti cattolici che contravvengono la legge ecclesiastica e benedicono le coppie omosessuali (don Franco Barbero, dimesso dallo stato clericale nel 2003, ha raccolto alcuni schemi liturgici in un bel libro pubblicato da “L’Hammartan Italia” nel 2013). Peraltro, se la Chiesa cattolica non ha fatto i conti con il concetto di natura, le cose non vanno meglio sull’altra sponda del Tevere, nel nostro Stato laico. In Italia l’istituto delle unioni civili fra persone dello stesso sesso (le legge n. 76/2016) si basa sull’art. 2 della Costituzione, quale formazione sociale, e non sull’art. 29 che definisce la famiglia come “società naturale fondata sul matrimonio”.

La famiglia, costituzionalmente intesa, rimane ancorata al matrimonio, che nel nostro ordinamento rimane eterosessuale. Alle unioni omosessuali viene riconosciuta tutela giuridica ma non la dignità costituzionale di famiglia. Dal punto di vista pratico, cambia poco o nulla. Ma, dal punto di vista simbolico, il peso di questa scelta legislativa è enorme. Ora, scusate, andate voi da due persone che si amano, che condividono un progetto di vita in comune, anche sulla base di un vincolo normativo, e dite loro che non sono famiglia. Bene che vada, vi daranno una pacca sulle spalle (come a dire, della vita non si è capito molto). Perché la famiglia è amore ricambiato vicendevolmente. E, per i credenti, non è già questa una benedizione del Signore?


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