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Fernanda Pivano in una foto giovanile

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“DOV’E’ Jones il suonatore/ Che fu sorpreso dai suoi novant’anni/ E con la vita avrebbe ancora giocato”?

La voce di Fabrizio De André, aspra e tesa per l’intera canzone di apertura del suo Non al denaro, non all’amore né al cielo, album ispirato all’Antologia di Spoon River di E.L. Masters, acquista un accento dolce e divertito quando canta del suonatore Jones, morto a novant’anni, mentre ancora amava la vita e, tutte le volte, se ne stupiva.

Fernanda Pivano è morta a novantadue anni, circondata dai suoi amici. Pochi mesi prima continuava a scrivere parole piene di passione e speranza, giocando con la vita e la sua vecchiaia. Amava i giovani, diceva che non capissero quanto per i vecchi fosse importante continuare a parlare con loro, rigenerarsi nelle loro speranze e delusioni.

“Non ho mai voluto accettare le malattie dell’età e ne ho le scatole piene di dover prendere tutte queste pastiglie che i medici mi prescrivono. Ho sempre cercato di vivere di passioni e tutto questo mi riporta solo alla disperazione dei miei 92 anni, con le vene che non reggono la pressione di una semplice iniezione. Ma grazie a Dio ci sono questi ragazzi di 18 anni che mi mandano le loro poesie, i loro racconti, i loro auguri e mi chiedono suggerimenti su come fare a superare le tragedie della vita. Ahimè. A 92 anni ancora non so cosa rispondere. Dico loro di sperare. Di battersi per vivere in un mondo senza guerre volute solo da capitani ansiosi di medaglie. Di sorridere senza il rimorso di non aver aiutato nessuno. E proprio questi giovani sono una grande, meravigliosa, consolazione. Il segno che qualcosa di ciò che hai fatto ha lasciato un piccolo segno, un piccolo seme.”

Fa venire in mente un altro verso di De André, tratto dalla canzone dedicata al Suonatore Jones: “E poi se la gente sa/ e la gente lo sa che sai suonare./ Suonare ti tocca/ per tutta la vita/ e ti piace lasciarti ascoltare.”

A Fernanda Pivano piaceva lasciarsi ascoltare e ascoltare generazioni di giovani scrittori, cantautori e poeti che aveva incontrato fin da quando giovane lo era anche lei. È difficile dire dell’opera di critica, saggistica, narrativa, divulgazione della Pivano perché impossibile è scinderla dalla sua personalità e dalla sua vita. Fu una donna di libertà perché era nata nell’oppressione della sua rigida educazione “vittoriana”, del regime fascista che contrastava le menti libere durante la sua giovinezza. Fu una promotrice strenua della pace, pur con un’indole combattiva e passionaria per tutto ciò che aveva a cuore, tanto che Hemingway in una lettera le scrisse: “Se c’è un errore che fai, figlia, credo che sia (in letteratura) quello di accettare il combattimento con troppa facilità. Io non rispondo mai a un attacco: non do risposta. Continuo a lavorare. Il lavoro è tutto. A volte (in letteratura) ci si arrabbia molto. Ma non rispondo mai, o meglio, ho imparato a non rispondere. Aspetto che muoiano o che abbiano torto, o tutte e due, o a volte li uccido in silenzio con una frase. Con molto affetto. Mr Papa”.

Fu di animo aperto e tollerante. Portò in un’Italia degli anni 70 ancora chiusa e bigotta, scrittori e poeti come Allen Ginsberg, Jack Kerouac, Gregory Corso. Come poteva, le chiedevano allora, passare serate, giorni, soggiorni interi, tra gli scrittori beat, consumatori di LSD, alcol, funghi, peyote, mentre perdevano la ragione, raggiungevano nuovi stati di coscienza, facevano sesso come e con chi pareva loro?

E lei, loro amica, sorella, madre e mentore, non beveva, non si drogava, rimaneva fedele al marito e intanto spiegava al mondo i loro valori, il loro stile di vita, combatteva le loro battaglie.

Era la prova in carne, lucidità e ironia che vite diverse e personalità diverse potessero convivere pacificamente e proficuamente, e anzi unirsi per gli stessi ideali e le stesse lotte. Aveva in sé una purezza che non aveva nulla a che fare con l’essere puritani o bigotti, ma aveva qualcosa a che fare con la felicità e l’infelicità, con la chiarezza dei sentimenti, con la forza e l’ironia. Tutto questo videro in lei, Pavese, che se ne innamorò di un amore forte e triste, ed Hemingway alle cui avances la Pivano rimpianse tutta la vita di aver resistito. E Kerouac, una delle sue più importanti scoperte letterarie, che completamente ubriaco in un’intervista alla Rai, le diceva che era bella, una ragazza dannatamente bella. E penso non intendesse solo fisicamente: perché quello che impetuosamente scaturiva dalle sue espressioni maliziose, dalla sua faccia ampia e chiara, dagli occhi luminosi e divertiti, dalle parole dette o scritte era una stupefacente e poderosa bellezza interiore.

“La gente ce l’ha con te perché sei bella. La ragione è questa. Bum! Bum! Giusto!”, concludeva Kerouac. “Non c’era nessuno come lei nell’universo letterario americano. – Disse, alla sua morte, Easton Ellis – Fernanda era “vera”.”

Un’altra delle sue qualità fondamentali che la facevano passare indenne tanto tra gli strali di una fazione di studiosi e critici letterari a lei profondamente avversa quanto tra le risse, i vagabondaggi e i bagordi dei suoi scrittori, da lei sempre ospitati in casa, bellissimi, disperati e pitocchi. Fernanda Pivano portava bellezza e andava a scovarla spesso dove nessuno avrebbe pensato di trovarla. Iniziò con la traduzione dell’Antologia di Spoon River, allungatale nel 1938 da Pavese, suo ex insegnante e mentore, che per essere pubblicata allora dall’Einaudi dovette essere spacciata per l’Antologia di un santo, S. River. Continuò con Addio alle armi, romanzo inviso al fascismo per il suo pacifismo, anti-militarismo, la sua anti-retorica. I nazisti fecero irruzione in casa, arrestarono il fratello perché il suo contratto di traduttrice con l’Einaudi era sotto firma falsa, Fernando Pivano. Lei, giovanissima, si presentò al commissariato per rivendicare quella traduzione, fu arrestata e interrogata. Per questo suo atto di coraggio Hemingway volle conoscerla: “Cosa ti hanno fatto i nazi?” le chiese, poi la tenne a lungo abbracciata. Da allora e per tutta la vita fece molti viaggi, soprattutto in America, tornando carica di esperienze, diversità e scrittori.

Apriva l’Italia al mondo e il mondo all’Italia. In Italia per suo invito passarono Lawrence Ferlinghetti, Charles Bukowski, Jay McInerny, Erica Jong, Breat Easton Ellis, Don De Lillo e molti altri. Fu tra i primi a scoprire i poeti contemporanei nei cantautori, a partire da Bob Dylan, per cui premeva dal 1998 perché avesse il Nobel per la letteratura, Lou Reed, Patty Smith, per finire con De Andrè, per il quale aveva un amore incondizionato, da lui ricambiato.

Il suo funerale si tenne nella stessa chiesa dove si era svolto quello prematuro di Fabrizio, a celebrarlo Don Gallo, prete e rivoluzionario, che alla fine, con le parole di un altro verso di De André, la salutò con l’epiteto cui più di ogni altra cosa lei teneva: “Ciao, Signora Libertà. Ci vediamo.”


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