Michele Tedesco "La balia", particolare
6 minuti per la letturaNESSUN dubbio che Michele Tedesco è un poeta. Ma chi è Michele Tedesco? Per i lettori del “Quotidiano del Sud”, anche i più colti, sarà una rivelazione. Tedesco è un pittore. Un pittore lucano. Certamente il più notevole dell’Ottocento. Conosciuto dai conoscitori e gli studiosi locali, ha avuto minor fortuna del suo merito. Io lo proposi all’Expo di Milano, con un’opera straordinaria della collezione Di Persio di Pescara, ora sul punto di trasformarsi in un grande museo dell’Ottocento, che aprirà il 18 settembre.
L’opera, superba, è La moglie del banchiere, un autentico capolavoro che può misurarsi con le cose più elette e mondane di Giuseppe de Nittis, il principale pittore meridionale, di fama universale, dell’Ottocento. De Nittis è più giovane, ma muore precocemente, all’indomani dei 37 anni, che furono singolarmente fatali a molti artisti (da cui “37”, un interessante saggio di Flavio Caroli), da Raffaello a Van Gogh. Aveva toccato il culmine della sua fama all’esposizione del 1874, tenutasi nello studio del fotografo Nadar e comunemente indicata come data di nascita dell’Impressionismo. Vi espose cinque dipinti: Paesaggi presso il Bois; Levar di luna; Campagna del Vesuvio; Studio di donna; Strada in Italia.
Michele nel 1850 si iscrive al Reale Istituto di Belle Arti. Inizia così la sua vita artistica e frequenta i pittori del vicolo san Mattia sotto l’influenza di Filippo Palizzi. All’epoca l’arte a Napoli si divideva tra il naturalismo di Palizzi e lo storicismo romantico e accademico di Domenico Morelli. Michele condivide sempre più con gli amici artisti le idee garibaldine, ma non entrerà nelle armate delle camicie rosse per un senso di responsabilità verso la famiglia e solo dopo l’Unità d’Italia si arruolerà nella Guardia Nazionale recandosi a Firenze. È qui che entra in contatto con i macchiaioli, espressione pittorica del fenomeno letterario verista. In quegli anni Firenze è capitale d’Italia (1865 – 1871), ed è in questa nuova capitale che la storia nazionale e la storia personale e artistica di Tedesco si intrecciano.
La proclamazione del Regno d’Italia del 1861 non significò la conclusione delle guerre e delle battaglie risorgimentali. L’Italia conquisterà Roma soltanto con la caduta di Napoleone III nella guerra contro la Prussia. La Breccia di Porta Pia è nel 1870. Nella guerra franco-prussiana aveva perso la vita il fratello della pittrice Julia Hoffmann (1843 – 1936), che per dimenticare si reca in viaggio a Firenze nel 1871. Qui ha l’occasione di apprezzare l’opera di Tedesco “La morte di Anacreonte”, un dipinto storicistico che il pittore cercava di vendere alla Real Casa di Capodimonte con l’aiuto di amici artisti napoletani. In quel momento il dipinto era esposto nel salotto di Ludmilla Assing e proprio mentre Julia ne ammira le qualità, la padrona di casa le presenta l’autore.
Julia e Michele si sposeranno due anni dopo, stabilendo un legame non soltanto sentimentale ma anche artistico. Le origini della moglie portano Tedesco al contatto con l’arte internazionale e con i principali movimenti artistici del tempo, tedeschi, austriaci, francesi, inglesi. Frequenta i circoli tedeschi e quelli vittoriani di Londra, esponendo all’estero e partecipando a due Esposizioni Universali, Parigi (1878) e Londra (1880). Al realismo di stampo macchiaiolo e allo storicismo che guarda al filone pompeiano di Lawrence Alma-Tadema, si aggiunge il simbolismo, tre filoni che si sviluppano e si evolvono nello stretto legame umano , culturale e artistico della coppia.
Mondi diversi quelli di De Nittis e Tedesco, ma la curiosità e l’apertura mentale rendono il dimenticato pittore lucano un artista che si misura con una dimensione intimistica mai pittoresca e illustrativa ma profondamente letteraria. Una pittura colta e mai impressionistica, documenti di una storia borghese che si misura con Silvestro Lega ed Edgar Degas. La sua capacità di invenzione, nei soggetti classici, ispirati ad Alma Tadema, o realistici, come negli interni alla “Moglie del banchiere”, hanno una ispirazione teatrale, propria di un grande regista, e prefigurano le scenografie di Visconti e Zeffirelli. La “Traviata”, ieri in scena all’Arena di Verona, sembra ispirata agli ambienti di Michele Tedesco. Ancor più “Segreta attesa”, conservato nel museo di Moliterno, la sua città, che, con giusta determinazione, amorevolmente, lo onora. Da una mostra del 2012 nella città di Potenza derivano gli eccellenti studi e la recente monografia di Isabella Valente, che definisce con chiarezza la poetica del pittore, dandogli tutta la dignità che merita: “Alla metà degli anni Settanta la ripresa dal vero, oggetto esclusivo della sperimentazione macchiaiola, era ormai superata.
Alla mostra di Brera del 1876 e poi alla nazionale di Napoli del 1877 Tedesco espose Un figlio naturale, con cui affrontava particolari temi ispirati al realismo sociale (un figlio nato fuori dal matrimonio, che la giovane madre è costretta ad allattare di nascosto). Sarebbero seguiti Il testamento, presentato alla Mostra nazionale di Roma del 1883, alla Promotrice di Napoli del 1884, a Brera nel 1891 e, infine, alla Mostra nazionale di Palermo del 1891-92, dove fu premiato con la medaglia d’argento; L’ultimo oltraggio, del 1902; Lo sfratto, del 1910. Grazie anche allo zio abate e alla sua vasta biblioteca, e grazie ai circoli intellettuali frequentati a Napoli, dove nel frattempo era rientrato, stabilendosi definitivamente a Portici nel 1877, Tedesco giunse a formulare una pittura basata su brani di realismo con particolare attenzione alle situazioni di degrado morale o di malessere sociale, verso cui assunse un indubbio atteggiamento di disapprovazione (si ricorda che era stato abbandonato dal padre, che era cresciuto lontano dalla madre, che aveva amato e sposato due volte una donna straniera).
L’impegno di tale pittura lo indusse a studiare come conformare l’immagine rappresentata ai tipi umani indagati: un’attenzione antropologica tale che lo portò a redigere un testo dal titolo La penetrazione del carattere e il senso della vita contemporanea nel contenuto dell’opera d’arte, un manoscritto datato 1901-02, finora ritenuto perduto, ma rinvenuto di recente” (Valente, 2018).
Alla ripresa d’interesse per il pittore poté concorrere, in quest’anno di celebrazioni dantesche la trascurata sua impresa di illustratore della “Commedia” , in coincidenza del sesto centenario della nascita, nel 1865. Tedesco era a Firenze. Così Valente: “In questo stesso periodo, sull’onda dell’entusiasmo patriottico che cresceva intorno alla figura di Dante, anche Tedesco eseguì diversi dipinti dedicati al poeta, mutuando l’iconografia dalla Vita nuova piuttosto che dalla Commedia, secondo scelte precise operate ancora una volta dai preraffaelliti, principalmente da Dante Gabriel Rossetti. Nel 1862 espose all’Accademia di Brera a Milano la tela La giovinezza di Dante Alighieri, cui avrebbe fatto seguito il dipinto Gli amici d’infanzia di Dante che cantano le sue canzoni, presentato nel 1864 alla III Promotrice di Napoli, riproposto molto probabilmente con il titolo Gli amici di Dante Alighieri giovinetto alla XXIII Promotrice di Torino del 1864 e ancora a quella di Firenze del 1867.
Nel 1865, in occasione della mostra organizzata dalla Società promotrice fiorentina per le celebrazioni dantesche, espose il dipinto Un libro chiuso. La città di Moliterno può finalmente rivendicare, con suoi musei, il “grande ritorno” di Michele Tedesco.
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