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La sirena Partenope; l’illustrazione è tratta dal sito www.identitainsorgenti.com

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TORINO fredda. Milano frenetica, Firenze immobile, Napoli, invece, Femmina. Disprezzata e invidiata. Penso a Partenope, la sirena schiantatasi contro gli scogli 3500 anni fa. Partenope fu portata dalle correnti marine proprio tra gli scogli di Megaride; qui, oggi, sorge  Castel dell’Ovo. E quell’onda di mare che si infrange contro il Castello è l’energia femminile della nostra Partenope che ha la forza e la perseveranza di chi costruisce sull’immaginario. Dal canto XII dell’Odissea comprendiamo che fu un’altra donna, la Maga Circe, a tradire la nostra sirena. Ulisse si fece legare sull’albero dell’imbarcazione per non cadere in preda al canto fatale.

Napoli è femmina e l’odio e l’invidia sono sentimenti indiscutibilmente da “femmina”. Ma l’altra faccia è l’amore. Neapolis, legata a miti perduti nel tempo. Fondata dai greci nel IV secolo a. C. e perla indiscutibile del Mediterraneo, è legata alla  leggenda della Sirena Partenope. Un luogo in equilibrio perenne. Napoli, città degli ossimori, dove l’impossibile diventa probabile.

Napoli non è mai morta, è sempre rinata nonostante l’odio. Gli spazi vissuti dai napoletani di oggi sono, nel loro insieme, gli stessi abitati dai napoletani di mille anni fa. Nel sottosuolo napoletano terreni piroclastici coprono il tufo. Di qui l’atavica tendenza a Napoli “femmina” a non buttar via nulla, a ricostruire, di volta in volta, una città “nuova” sui resti di quella “vecchia” come avvenne in occasione della grande alluvione che nel basso medioevo coprì buona parte del centro storico. Nacque lo slancio di molti edifici ancora oggi visibili. Il nuovo Napoli ce l’ha nel nome. Napoli abbraccia il mare, femmina che ama. È la sola città del mondo, che non è affondata nell’immane naufragio della civiltà antica come Ilio, come Ninive, come Babilonia. Napoli è una Pompei che non è stata mai sepolta. “Non è una città: – scrisse Malaparte – è un mondo. Il mondo antico, precristiano, rimasto intatto alla superficie del mondo moderno. […] Non potete capire Napoli, non capirete mai Napoli”. Un istmo schiacciato tra mare e Vesuvio che si alimenta di un magma e del canto di Partenope; una femmina di acqua e di luce. Perché la creatività è della follia. E la follia, si sa, è femmina.

L’atto del creare non si può incastrare nelle regole della logica, della ragione. Platone parlava di follia profetica. Le sacerdotesse son tutte femmine. Sono interpreti del dio. Profetare è parlare al posto di dio. Prestano la loro parola al dio. C’è una conoscenza che non passa dal razionale ma dall’erotismo femminile. Questo tipo di conoscenza fa anima nell’accezione greca. E qui sta Napoli. La conoscenza intesa come intuizione è una forma di conoscenza immediata empatica non diretta e non razionale. E tutto ciò che è fuori dall’ordine logico matematico è follia. E la follia, ripeto, è femmina.

Napoli è un ossimoro misterioso. Il termine “mistero” che da un lato prescrittivo giuridico-religioso ha indicato ciò che non poteva essere comunicato, da un punto di vista filosofico, invece, denota ciò che, per sua stessa natura, non è spiegabile dalla ragione umana né trasmissibile attraverso il linguaggio. Plotino, sostenne nelle Enneadi che la esperienza mistica è basata su un processo di identificazione spirituale (unio mystica) che lega insieme l’uomo e Dio. La materia invece è, per Plotino, la propagazione dell’Anima.

Non è l’anima ad essere ‘dentro’ il corpo ma è questo ad essere dentro l’anima, la quale lo “avvolge” come una invisibile ‘aura’. Quindi, la vera forma di conoscenza non si basa più sul dualismo tra soggetto ed oggetto, dice pertanto Plotino: “Proprio questo vuol dire la prescrizione dei misteri che proibisce di rivelare Dio ai non iniziati, vietando come illecito il manifestare ciò che è divino a colui che non può comprenderlo, tranne che costui non abbia già di per se stesso avuto la ventura di contemplarlo. Infatti il contemplante ed il contemplato erano una sola cosa, l’ ‘oggetto’ non era ‘visto’, ma ‘unito’ al soggetto ” (Enneadi, VI, 9, 11). Napoli è sangue racchiuso nella pietra.

Rivive nei suoi ossimori; paganesimo e cristianesimo convivono in un intreccio che è magia e storia. Il contratto fu siglato con la chiesa Santa Maria Maggiore alla Pietrasanta. Fu proprio il vescovo Pomponio che, nel 553 d.c, per garantire una continuità di culto fece costruire, proprio nel punto in cui si trovava il tempio di Diana, la prima chiesa dedicata ad una donna: Santa Maria Maggiore, la Madonna.

La leggenda narra che nella piazza, di notte, si aggirava un maiale identificato con il demonio che terrorizzava la popolazione con i suoi grugniti. Questa storia del maiale mi evoca una tesi sul covid-19 di origine suina. Allora mi appassiona. Mi faccio accompagnare dal mio Ossimoro che continua il suo racconto, sotto la mascherina, mi porta sulla pietra santa dove sorgeva il tempio di Diana. E continua “le Dianare, a Napoli le janare, dal culto della dea Diana, esperte del ciclo dei pianeti, si tramandavano conoscenze religiose e mediche antichissime. Erano le sacerdotesse di Diana (Dianare) che evocavano il demone sotto forma di maiale. Ecco perché furono ribattezzate con disprezzo “janare” ad indicare donne accusate di stregoneria e adorazione del demonio”.

Secondo le credenze popolari, le janare si ricoprivano il corpo con un unguento magico fatto di rospi, lucertole e grasso degli infanti. Recitavano la filastrocca: Unguiento unguiento mandame alla noce de Beneviento supra acqua et supra viento et supra omne maletiempo, come si può leggere negli atti del processo contro Matteuccia da Todi del 1428. Dopo aver pronunciato la formula magica, tutte le streghe in groppa alle scope di saggina o a cavalli rubati, si davano appuntamento nelle notti burrascose tra il venerdì e il sabato al noce di Benevento per dare inizio al Sabba lungo il fiume Sabato (ripa delle janare) al chiarore della luna.

La festa continuava con banchetti, danze e riti orgiastici che qui chiamano i giochi di Diana. Siamo liberi. La città si è ripopolata; mi sembra ormai lontano quel vuoto “quantico” della città, riempito solo della voce narrante della Pietra Santa e delle janare, di qualche giorno fa.

“La bellezza ci salverà” pensavo in quel momento irripetibile mentre cercavo di catturare le immagini di una città vuota ma piena di anima, e avvolta da un silenzio psicomagico e ultraterreno. Allora devo fare un “salto quantico”, un salto nello spazio e recuperare un’altra bellezza, nonostante le interferenze, tra organismi viventi, di virus e batteri in una zona di verità tra i mondi. Catullo con il suo Odi et amo quare id faciam fortasse requiris /nescio sed fieri sentio et excrucior da buon artista avrebbe anticipato e dimostrato come, la neurobiologia inglese, che l’odio sia legato al suo opposto perché nasce nella stessa area della corteccia frontale del cervello in cui si trova anche l’amore.

E anche questo è un ossimoro.

Mi affaccio da San Martino; Napoli da qui sembra un corpo di una donna con le arterie che sono le strade ossigenate dalla luce chiara e abbagliante e i vicoletti bui che fanno da spazzino delle arterie come le vene. Prima Partenope poi Diana, poi le Janare, poi il disprezzo e l’invidia. Napoli è femmina. Se ancora non ci credete guardate Capri, è sempre femmina.


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