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Giovanni Paolo II e Joaquin Navarro Valls

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GUAI a dargli del lei e men che meno chiamarlo “dottore” seguito da quel cognome doppio di sapore vagamente nobiliare. Per tutti i giornalisti accreditati alla Sala Stampa della Santa Sede lui, Joaquìn Navarro Valls, doveva essere semplicemente Joaquìn. Ciascuno nel proprio ruolo, è chiaro. Il direttore della Sala Stampa forniva attraverso i comunicati ufficiali gli indirizzi del Papa e della Santa Sede, costruendone l’immagine mediatica; ai cronisti toccava decifrarla per coglierne sfumature e finalità. Una colleganza strettissima, giornalista lui e giornalisti gli altri, nient’affatto casuale: Navarro Valls, spagnolo di Cartagena e con una formazione poliglotta fin dall’infanzia, aveva rinunciato alla carriera di medico psichiatra per studiare negli Usa da cronista e diventare poi inviato speciale del quotidiano madrileno ABC, infine presidente della stampa estera a Roma. E fu in quella veste che fu scoperto da Karol Wojtyla da poco eletto Papa nel 1978. Il classico colpo di fulmine, dopo qualche giorno Navarro viene nominato dal pontefice direttore della Sala stampa della Santa Sede il 18 dicembre 1984.

Da allora e per i 22 anni successivi Navarro costruisce in chiave nuovissima la comunicazione del pontefice e del Vaticano, diventa l’uomo ombra e speaker di Karol Wojtyla. L’unica condizione che aveva posto per accettare l’incarico era stata quella di avere l’accesso diretto al Papa. Le porte dell’appartamento pontificio nel Palazzo apostolico gli furono spalancate. E grazie alla grande amicizia con il segretario personale di Giovanni Paolo II, Stanislaw Dziwisc, Navarro vede il Papa quasi ogni giorno, cena e pranza con lui, lo segue nei viaggi e in vacanza e insieme stabiliscono le mosse per informare sulla Chiesa i cronisti di tutto il mondo.

Un rapporto così stretto non poteva essere dissipato. Wojtyla riservava sorprese quotidiane, vuoi in veste ufficiale da Papa comunicatore ai cattolici di tutto il mondo, vuoi nei suoi aspetti più privati quando l’uomo Wojtyla si svela senza alcun imbarazzo. Come fare allora a custodire questo immenso patrimonio di impegno apostolico e, insieme, di sorprendente umanità? Navarro sceglie la via che più gli è congeniale, quella del cronista. Preciso e puntiglioso, prende appunti. Annota tutto. Riempie i taccuini. E alla fine del pontificato si ritrova con una mole di oltre seicento pagine per altrettanti flash su papa Wojtyla.

Sei anni dopo la sua morte, nel 2017, questo prezioso lavoro di testimone-giornalista di Navarro viene raccolto da Mondadori nel volume “I miei anni con Giovanni Paolo II” appena dato alle stampe (pp. 530, euro 22). Per chi ci ha lavorato fianco a fianco, le sorprese sono almeno due: i volti inediti di Karol Wojtyla e, a un tempo, quelli di Joaquìn Navarro Valls che attraverso le cronache del suo pontefice, si rivela a sua volta in tutta la sua dimensione umana e di credente con una partecipazione e capacità di emozioni che non si sarebbero potute facilmente immaginare nei suoi briefing con i giornalisti in sala stampa. E non a caso il libro reca come sottotitolo “Note personali”.

Il Papa grande comunicatore, fin dal suo “Non abbiate paura” rivolto ai fedeli in San Pietro la sera del 16 ottobre del ’78 appena eletto Papa, si specchia così nel suo comunicatore Navarro in un ritratto avvincente e per molti aspetti senza precedenti. Un amarcord, quello di Navarro, lungo ventidue anni per un caleidoscopio targato Karol Wojtyla. Chi immaginerebbe, per esempio, il grande senso dell’humor del Papa che al Navarro grato per la cena al Palazzo apostolico, si sente tranquillamente rispondere: “Ho portato il conto di tutti i miei inviti a pranzo e a cena. Sarebbe ora che mi invitasse lei”. E c’è poi il Wojtyla in vacanza, che riserva aspetti straordinari. Che si trovi sulle Dolomiti a Lorenzago di Cadore oppure a Introd in Val d’Aosta, il Papa costringe tutto il suo piccolo seguito, Navarro compreso, a escursioni di ore. Lui apre la cordata, gli altri lo seguono, a volte a fatica. E, memore delle passeggiate da giovane seminarista sui monti Tatra nella sua Polonia, non si fa scrupolo di avventurarsi in dirupi che provocano sconcerto e ansia nei suoi accompagnatori. Il tutto prima di concedersi una bella dormitina di quaranta minuti sotto un albero. “Aveva lasciato la Chiesa nelle mani di Dio”, annota Navarro. A Palazzo apostolico pranzi e cene si moltiplicano. È l’occasione per mettere a punto strategie della comunicazione sempre nuove della Santa Sede che parla al mondo. Ma anche lì Wojtyla intercala le riflessioni con battute sulla sua dieta del venerdì, quando ai commensali vengono serviti soltanto riso in bianco al forno, insalata e frutta. Mentre lui miscela coscienzioso acqua e vino rosso sempre di provenienza artigianale e mai di marca. “Santità, lei mangia sempre così poco di venerdì”, esclama una suora che lo serve. E lui: “Sì è vero, ma che vuol fare”.

È un ritratto senza omissis e senza veli che si snoda per quasi tutti gli appuntamenti chiave di ventisei anni e 180 giorni di pontificato. Nel giugno dell’88 in Vaticano tira brutta aria. Il vescovo ultra tradizionalista francese Marcel Lefebrve dice a una agenzia di stampa che “Giovanni Paolo II è un papa eretico”. E si accinge a nominare quattro vescovi provocando uno scisma. Navarro comincia a leggere il dispaccio con le accuse di Lefebvre al Papa, ma poi si ferma di colpo: “Avevo un groppo alla gola”, confida nei suoi appunti. Wojtyla è addolorato ma va avanti. Aspetta la nomina dei quattro vescovi prima di pronunciare la scomunica per Lefebvre. Tutt’altra atmosfera prima, durante e dopo la storica visita di Mikhail Gorbaciov in Vaticano nel dicembre 1989. Il primo segretario del partito comunista sovietico dal primo papa polacco è un evento planetario. Con la sua tenace Ostpolitik affidata anche al Segretario di Stato Agostino Casaroli, Karol Wojtyla aveva contribuito alla caduta del Muro di Berlino. L’uomo della “perestrojka” e della “glasnost” arriva nel cortile di San Damaso e di qui nell’ufficio privato del Papa con un carico di umanità tale da sorprendere lo stesso Giovanni Paolo II. Che ai suoi più stretti collaboratori riuniti come sempre a pranzo, confida: “Non avrei mai pensato che un uomo formatosi nel marxismo potesse diventare una persona del genere”.

E così fino agli anni difficili della malattia, quel Parkinson che divora poco a poco il Papa. Con una operazione verità senza precedenti nella storia della Chiesa, Navarro decide di far sapere ai giornalisti il morbo del pontefice. Grande lo sconcerto in Segreteria di Stato. Ma Wojtyla e il direttore della sala stampa avevano stabilito che nulla dovesse essere taciuto del Papa. Per il quale anche la sofferenza era in definitiva comunicazione. Un aspetto cruciale forse appena meno comprensibile appieno se non si tiene conto di una parte della biografia del pa pa polacco che Navarro non menziona nei suoi appunti di cronaca da un pontificato, né forse avrebbe potuto.

Il Papa da giovane è un operaio negli stabilimenti Solway. Ma appena dismessa la tuta, eccolo negli scantinati della Cracovia occupata dai nazisti, per fare teatro insieme con gli amici più intimi. Si chiamava “teatro della parola”. Una forma particolarissima di rappresentazione tutta basata, appunto, sul dialogo. Il Papa comunicatore nasce lì, nei sottoscala della sua città, sempre nell’ansia di una irruzione delle SS. Una esperienza così intensa che Karol Wojtyla, Carletto per gli amici più intimi, porterà con sé prima come arcivescovo di Cracovia e poi da pontefice. Non si spiegherebbe altrimenti la capacità di linguaggio così forte e immediato durante tutto il suo lungo pontificato. Come per esempio, la poderosa invettiva rivolta ai mafiosi con il “Convertitevi!” gridato dalla valle dei templi durante la visita ad Agrigento. Dettagli in più alla straordinaria biografia parallela di Giovanni Paolo II composta da Navarro Valls attraverso le sue “Note Personali”. Le quali non trascurano poi anche il breve intervallo tra l’elezione a papa di Joseph Ratzinger, dopo la morte di Wojtyla la sera del 2 aprile 2005, e le dimissioni di Navarro da direttore della Sala Stampa nel 2006. Altri papi, altri tempi. Il pontefice-teologo tedesco tutto era fuorché un comunicatore. E quell’accesso diretto al Papa che Wojtyla aveva fino all’ultimo privilegiato, non si instaurò mai con Benedetto XVI. Il suo assistente Georg Gaenswein era distante anni luce dall’amico Stanislaw Dziwisc che lo introduceva ogni giorno nell’appartamento papale.

Navarro si sentì più solo, senza una guida certa e senza quel rapporto padre-figlio che lo aveva accompagnato per oltre vent’anni. Eppure, non era il crepuscolo. C’era comunque una malattia cui badare. E c’erano soprattutto seicento pagine di note personali da riordinare e trasferire su digitale perché altrimenti illeggibili. L’ex direttore della Sala Stampa e portavoce vaticano aveva un solo desiderio: che fossero pubblicate dopo la sua morte per non generare equivoci sul suo essere stato un modello di comunicazione per la Santa Sede. Navarro è stato esaudito. A sei anni dalla sua scomparsa nel 2017, quegli appunti del cronista vedono oggi la luce. E con loro un ritratto magistrale di Karol Wojtyla papa e uomo che forse neppure la santità riesce a sminuire. Non un lascito, di più, un dono per chi Giovanni Paolo II ha conosciuto e seguito da vicino. E per chi lo ha amato in vita. Grazie, Joaquìn.


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