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Questo scudetto lo ha vinto una squadra di campioni con il migliore allenatore italiano e un imprenditore da oscar, ma insieme a loro lo hanno vinto una città fatta di donne e uomini di tutte le età, la forza organizzata del suo territorio e chi la governa guidando con un metodo nuovo il Rinascimento di Napoli produttivo e culturale.

Questa squadra campione d’Italia non esprime un business in mano a proprietà sconosciute che non hanno alcun legame con il territorio. Nella terza Capitale d’Italia che è la Capitale del Nuovo Mediterraneo, ricordatevelo, si coglie il valore della città organizzata che è oggi Napoli e che ha vinto lo scudetto di serie A del calcio italiano.

C’è un capitolo di emozioni anche personali che mi porta naturalmente ai due scudetti di Maradona, ma lo voglio tenere fuori da questo articolo che deve raccontare che cosa fa la differenza tra oggi e allora. Null’altro. Il calcio è diventato un business tutto legato alla comunicazione e alle piattaforme tecnologiche senza anima e senza patria. Addirittura senza senso. Per cui paghi per ascoltare e vedere (spesso male) il calcio ridotto a trenta secondi, più o meno quelli del goal, all’interno di centinaia di eventi seguiti contestualmente.

Viviamo immersi nel festival della mancanza di attenzione e di appartenenza di tutti, o quasi, ma poi succede che a Napoli vince una società che sa fare di conto, che è consapevole di che cosa è l’industria dell’intrattenimento. Soprattutto una società che vive in simbiosi con la città e ne esprime l’orgoglio. Questa è la forza di una città e della sua fede azzurra globale che attraversa i Continenti, ma viene prima degli eventi e determina gli eventi. Noi tutti, senza nemmeno accorgercene fino in fondo, ci muoviamo in una gabbia in cui la vita quotidiana delle persone, quella più complessa delle collettività, vengono tutte appoltigliate attraverso la raccolta di frasi brevi e sguardi rubati dentro un film che scrivono altri.

Una volta il calcio era il fenomeno popolare per eccellenza, oggi è una televisione, un computer, un telefonino, il goal e i suoi 30 secondi non sono e non possono essere una partita. Il calcio è un’altra cosa. Una partita non è il goal, ma la capacità di allenarsi e di mettere insieme le motivazioni, di fare gioco di squadra che produce quei trenta secondi che sono una parte della storia, non la storia. Sapete qual è il vero miracolo di questo terzo scudetto del Napoli nella sua lunga stagione calcistica? Che esprime come meglio non si potrebbe la nuova organizzazione e la nuova attrattività che oggi Napoli rappresenta nel mondo. C’è un desiderio di Napoli nel mondo che è l’espressione più alta del desiderio di Italia nel mondo che ha regalato al nostro Paese la stagione del governo Draghi e che ho sempre percepito nella intensa sobrietà con cui il bellunese Daniele Franco, ministro dell’Economia dell’epoca, era solito ripetere “dobbiamo restituire all’Italia la sua terza capitale” che è, appunto, la Napoli di oggi.

La storia di questo scudetto è la storia di una società che vince lo scudetto dei conti lasciando indietro di gran lunga società con proprietà oscure e conti in rosso. Questa storia dello scudetto del Napoli è la storia dello scudetto dei conti di una società che vive l’antico rapporto con il suo territorio e lo fa con una gestione di impresa efficiente che non deve rispondere alle ingordigie dei mercati ma al suo territorio e alla sua città. Ai nostri occhi questo scudetto, il lavoro di squadra di Spalletti e dei suoi campioni in campo, del primato economico di De Laurentiis e di quello organizzativo e di visione del sindaco Manfredi, l’attenzione culturale straordinaria che Napoli sta vivendo con il nuovo ministro Sangiuliano, tutto questo messo insieme e molto altro ancora, ci rafforzano sempre più nella nostra convinzione che Napoli è già e sempre più può essere fino in fondo non una periferia ma un centro.

Non più solo la terza Capitale d’Italia ma la Capitale del nuovo Mediterraneo che è il centro del mondo capovolto. Che ha come asse strategico globale non più quello Est-Ovest, dopo che i carri armati russi in Ucraina ne hanno spezzato i fili, ma quello Sud-Nord di un mondo capovolto che ha bisogno del nostro Mezzogiorno e dei quattro Mediterranei per alimentare l’indipendenza energetica dell’Europa e costruire la nuova manifattura del Mediterraneo. Che costituiscono insieme la più concreta possibilità di dare all’Europa intera crescita aggiuntiva.

Abbiamo voluto organizzare a Napoli, in collaborazione con la Commissione e il Parlamento europeo, il primo Festival Euromediterraneo dell’economia (Feuromed) proprio per ribaltare il paradigma del racconto di una Napoli e di un Sud che non pietiscono aiuto, ma di una Napoli e di un Sud che possono essere il motore di un nuovo Mediterraneo e di una nuova Europa che esce finalmente dalle sue paure e fa i conti con le armi dei russi e i soldi dei cinesi sull’altra sponda del Mediterraneo. Investendo come Europa sull’economia della pace e del dialogo religioso e civile contro l’orrore dell’espansionismo autocratico che allarga il solco tra ricchi e poveri.

La scommessa che abbiamo voluto lanciare con Feuromed è quella di dimostrare ancora una volta che la ricchezza di una nazione sono le sue persone e su di loro bisogna investire. Sono il capitale umano della nuova classe dirigente del nuovo Mediterraneo. Lo abbiamo fatto muovendoci nel solco di una proposta anticipatrice che appartiene al patrimonio delle visioni di Romano Prodi, grande Presidente della Commissione europea. Dobbiamo formare, e con Feuromed su ciò siamo già impegnati, una classe dirigente di giovani che sia in grado di guidare questo riposizionamento dell’Europa e del Mediterraneo che passa attraverso le grandi reti e le energie del futuro, ma allo stesso tempo attraverso i primati della sua manifattura di qualità, dell’agroindustria, dell’economia del mare. Tutto ciò parte da Napoli e dal nostro Mezzogiorno e dal capitale umano e dall’organizzazione che sapremo mettere in campo. Questo, per noi, significa la vittoria dello scudetto del Napoli.


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