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Anche questa sacrosanta rivoluzione non basterebbe per attuare l’autonomia. Mancano le clausole di salvaguardia dell’iniziativa generale dello Stato e che cosa si chiede alle Regioni per assumere poteri di governo che non hanno e possono avere in ambiti ristretti solo se affiancati da poteri centrali di indirizzo, di controllo e di revoca. Secondo lo spirito e il metodo Fitto approvati in Europa. È un manifesto della Lega che non porterà nessun beneficio elettorale. È la stessa fuffa delle pensioni, giustamente tagliate, con la Lega che dice il contrario credendo di ingannare gli elettori e di raccattare qualche voto.

Il voto sull’autonomia differenziata ha tutti i crismi della farsa italiana e dimostra ancora una volta di più che bisognerebbe arrivare a un confronto sulle cose, non sulle bandierine. Il problema drammatico è che da una parte e dell’altra si sventolano solo bandierine e se invece le cose venissero affrontate di petto si potrebbe fare davvero qualcosa. Significherebbe almeno rendersi conto che attuare livelli essenziali di prestazione (Lep) uniformi tra i cittadini, vuol dire tirare fuori decine e decine di miliardi veri ogni anno.

Significherebbe almeno rendersi conto che, dovendo fare tutto a invarianza di finanza pubblica, questi soldi potrebbero essere recuperati solo, come peraltro sarebbe giusto, travasando una parte significativa dei trasferimenti pubblici pro capite essenziali – sanità, scuola, trasporti – da chi riceve indebitamente di più a chi riceve ingiustamente di meno rompendo il circolo vizioso di diseguaglianze e di solchi incolmabili di diritti civili violati. Anche se ciò avvenisse, una sacrosanta rivoluzione per questo Paese che segnerebbe un nuovo inizio repubblicano dopo la lunga stagione dei regionalismi e dei federalismi fiscali all’italiana, non basterebbe di certo a fare scattare l’autonomia differenziata.

Questa operazione verità finalmente attuata sulla contabilità pubblica avrebbe il merito di porre in essere azioni riparatorie che smentiscono il luogo comune che il Sud vive sulle spalle del Nord quando è vero l’esatto contrario. Vi rendete, tuttavia, conto da soli dell’enormità politica di una autonomia che il ministro Calderoli vuole fare per aumentare le dotazioni delle Regioni a guida leghista lombardo-venete e si potrebbe invece attuare solo se le Regioni Lombardia e Veneto rinunciano a una parte rilevante dei trasferimenti pubblici nazionali che indebitamente incassano per trasferirli direttamente a favore di chi riceve ingiustificatamente meno nelle aree interne del Nord e nei territori meridionali.

Capite da soli che, alla prova del budino, questo castello di cioccolata padana si scioglie all’istante. Vogliono più soldi pubblici dallo Stato, non restituire a chi ne ha diritto parte di ciò che impropriamente continuano a prendere dallo stesso Stato. Ammesso e non concesso che si superasse la insuperabile prova del budino per ragioni politiche, tutto ciò non basterebbe comunque per attuare la cosiddetta autonomia differenziata allargata o comunque non la giustificherebbe mai nelle modalità promesse di trasferimento di funzioni, poteri, soldi.

Non basterebbe perché, secondo i canoni della civiltà giuridica moderna delle democrazie occidentali, andrebbero dette subito con chiarezza e messe nero su bianco con la forza delle leggi quali sono le clausole di salvaguardia dell’iniziativa generale dello Stato e che cosa si chiede alle Regioni per assumere poteri di governo che non hanno istituzionalmente e che potrebbero avere solo in ambiti ristretti.

La verità è che questi presidenti di enti di programmazione regionale, che parlano come ras dei loro territori o capi di fantomatici esecutivi, affinché possano solo ambire a tali limitati nuovi poteri, devono preventivamente dimostrare di avere effettive capacità di governo, devono esprimere la volontà di sottoporsi a ogni genere di controllo, e non possono di certo continuare a chiedere o addirittura a imporre politicamente al governo di turno di avere solo soldi in più da spendere senza nemmeno sapere bene per fare che cosa, senza impegnarsi a rendicontare, agendo fuori da una logica nazionale di visione e di programmazione con le sue priorità.

Parliamoci chiaro. Se non avviene ciò, se non si fa questa operazione verità e si dovesse procedere per strappi con qualche stratagemma nascosto che questa volta per la verità non si vede, come si è fatto invece con il federalismo fiscale (legge Calderoli 2009) attraverso il parametro “transitorio” della spesa storica, il risultato finale sarebbe che non esiste più lo Stato della Repubblica italiana. È ovvio, quindi, che anche in questa farsa, bisognerebbe comunque procedere per gradi in quanto non si può neppure in misura infinitesimale ripetere l’errore storico fatto due volte dal 2001 a oggi, che è stato quello di passare dal bianco al nero prima con una scelta di modifica della Costituzione possibile ma sbagliata e poi con il trucchetto della spesa storica utilizzato come escamotage temporaneo e che invece dura da quasi quindici anni. Si è affossata in questo modo ogni giorno la resilienza economica di una parte del Paese e i diritti civili dei territori meridionali e delle aree interne del Nord.

Quindi, sempre dopo e solo che si sia trovato il modo di riportare indietro le lancette dell’orologio scassato dei Lep trasferendo dalla casse delle Regioni del Nord a quelle del Sud decine e decine di miliardi, si potrebbe eventualmente procedere molto timidamente riducendo gli ambiti di intervento delegati purché siano sempre a tempo, controllati e revocabili. Affiancati, cioè, da un parallelo rafforzamento dei poteri centrali di indirizzo strategico, di controllo e di revoca. Soprattutto nella prima fase si dovrebbe sempre procedere secondo lo spirito, il metodo e le scelto compiute con il lavoro realizzato da Fitto in Europa per ambiti molto limitati che potenzialmente consentono di creare ulteriore valore.

Perché, diciamocela tutta, non si può andare in Europa, porre il tema storico della incapacità di spendere di questo Paese, indicare una soluzione tecnico-politica fatta di regia centrale e di poteri sostitutivi di supplenza e viceversa indulgere confusamente, per accomodamenti di politica elettorale, a un disegno finto che tiene in piedi questo modello anomalo italiano di frammentazione decisionale e di distorsioni amministrative con duplicazioni di inefficienze e clientele che è il motivo principe della caduta competitiva ventennale di questo Paese. È tutta fuffa, questa è la verità. Un manifesto elettorale della Lega che non porterà nessun beneficio elettorale alla Lega.

È la stessa fuffa che si è venduta con le pensioni che sono state giustamente tagliate mentre la stessa Lega continua a dire il contrario credendo di ingannare gli elettori e di raccattare qualche voto in più. Non sarà così perché il libro dei sogni spacciato come manifesto programmatico-elettorale e il racconto della favola quotidiana non superano più il muro della realtà fatta di due guerre regionali diventate ormai globali e di una situazione geopolitica e economica complessa oltre l’inverosimile. Gli elettori non abboccano più ai cantastorie e chiedono solo un racconto di verità. Salvini e la Lega dovrebbero capirlo finché sono in tempo se vogliono evitare cadute elettorali per loro ancora più rovinose.


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