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L’OMICIDIO di Giulia Cecchettin (trovo orrenda la parola “femminicidio” perché anche la donna è un essere umano) è arrivato come una mazzata su ciascuno di noi per la sua assurda crudeltà: quella giovane donna, come tante altre donne prima di lei vittima di violenza, potrebbe essere nostra figlia o nostra nipote. Sentiamo profondamente ingiusto che una vita sia spezzata col pretesto di un amore che non regge una separazione, che non rispetta una libera volontà di una persona di incamminarsi per la propria strada.

Non c’è molta differenza tra l’uccisione di Giulia e quella della ragazza pakistana, Samam Abbas, considerata dai suoi famigliari un corpo di loro proprietà la cui disobbedienza nei confronti di un matrimonio combinato era considerata un disonore per la famiglia più insopportabile della perdita di una figlia, carne della stessa carne dei genitori.

LA VIOLENZA SULLE DONNE E LE TOSSINE DI SUBCULTURA

Noi, nella patria del diritto, abbiano convissuto fino al 1981 con il delitto d’onore e il matrimonio riparatore della violenza carnale, un reato quest’ultimo che è rimasto a lungo nell’ambito dei reati contro il buon costume e non contro la persona. Per anni l’adulterio era punito solo nel caso della donna, mentre l’uomo aveva la possibilità di andare con una minorenne “moralmente corrotta’’ senza che nessuno gliene potesse chieder conto. Agli studenti di giurisprudenza che sostenevano l’esame di medicina legale insegnavano che non vi potevano essere prove certe di violenza carnale se non in presenza di una deflorazione. Ci sono casi di tanti processi in cui le donne vittime di violenza venivano sbeffeggiate dagli avvocati e dai giudici. È passata alle cronache l’affermazione di un difensore in aula: «Che violenza è se per interromperla basta un morsetto?». In una recente sentenza un giudice assolse gli imputati perché la vittima era troppo brutta per suscitare qualsiasi libidine. Nella storia le donne hanno subito violenza e stupri dai soldati degli eserciti vincitori, torturate dall’Inquisizione, arse vive come streghe (magari insieme ai loro gatti). Per secoli non hanno avuto – sul piano civilistico – capacità né giuridica né d’agire, sempre poste sotto la tutela di un uomo. Le loro rivendicazioni di diritti paritari, prima ancora che osteggiate, venivano derise. Se non è troppo ardito il paragone – che viene spontaneo in un momento come questo – le donne sono state gli ebrei dell’umanità, punite per quei comportamenti che vengono considerate qualità in un uomo.

Una storia di dominazione patriarcale lascia in giro per secoli tossine che entrano a far parte del dna e che possono essere rimosse soltanto attraverso una rigenerazione culturale che deva spazzare via secoli di subculture, di violenza e di discriminazioni che spesso non vengono comprese, ma subite con rassegnazione dalle donne stesse, spesso influenzate da un’educazione che le vede sottomesse agli uomini a cui hanno affidato la loro fragilità sociale ed economica, attraverso il matrimonio.

RAGAZZI IMPREPARATI ALLA SOFFERENZA

Può essere che i giovani d’oggi crescano ancora in famiglie in cui esista ancora il modello patriarcale sia per il padre che per il figlio maschio. Ricordo che la moglie francese di un mio carissimo amico trovava strano che a tavola fosse la nonna ad alzarsi se mancava qualche cosa al padre, mentre questo compito toccava alla madre (ovvero alla suocera) di provvedere al figlio (suo marito). Queste considerazioni non vogliono essere minimamente assolutorie, ma la vera emancipazione della donna avviene nell’ambito della famiglia e della coppia. Troppo spesso si ha l’impressione che i nuovi diritti delle donne servano a confermare ai mariti e compagni i loro privilegi. I diritti della donna servono a sollevarla dal lavoro di cura che comunque resta un problema suo. In questo modo lo Stato prima ancora di tutelare la donna si prende cura dell’uomo, assicurandogli di non doversi occupare del ménage famigliare.

Quanto al caso di Giulia Cecchettin, le considerazioni più significative le ho trovate su Facebook in un post di Anna Bruno (che non conosco). «Il problema di questa nuova generazione, soprattutto i maschi, è che non vengono più educati a superare la sofferenza, a lottare per uscirne. I genitori gli evitano qualsiasi tipo di sofferenza, anche i brutti voti a scuola e allo stesso tempo, come contraddittorio, li pressano perché siano i migliori nello sport, nello studio ecc., per cui crescono bipolari tra un delirio di onnipotenza e senso di nanismo da ansia di prestazione. Quando poi si trovano davanti a un fallimento non conoscono altra via d’uscita se non far fuori la “causa” della loro sofferenza. È un grosso problema sociale che stiamo sottovalutando!».

Ma ci sono altre considerazioni che si accompagnano a quelle del post. Ha scritto Luca Ricolfi nel saggio “La società signorile di massa’’ che la ricchezza accumulata, anche grazie al sommerso e all’evasione fiscale, è molto più diffusa e articolata di quanto la fotografia ufficiale e la narrazione conformista non la rendano visibile. E lo sdoppiamento tra il Paese legale, immerso in una formalità giuridica iper regolata, e il Paese sostanziale, talmente impegnato a eludere i vincoli da incorrere frequentemente nell’irregolarità e nell’illegalità, favorito in questo dalla montagna di eccezioni che la stessa bulimia normativa partorisce. La “società signorile di massa” in questi anni ha vissuto in un equilibrio allo stesso tempo reale, perché effettivo, e apparente, perché frutto di un colossale equivoco, e dunque destinato a non poter durare.

UN PAESE INCONSAPEVOLE

Ma il Paese è consapevole dei rischi che sta correndo? Non lo è. Se è vero – come purtroppo è drammaticamente vero – che da oltre un quarto di secolo il Paese scivola in un declino, lento ma inesorabile, fattosi col passare del tempo vera e propria decadenza, senza che ciò abbia generato cognizione della tendenza in atto e soprattutto delle sue cause. Ha generato rabbia, rancore, astio, scoramento, ma non consapevolezza. Anche perché il sentimento collettivo italico ha trovato più semplice individuare un nemico – interno o esterno – cui scaricare colpe che per definizione non possono che essere di un intero popolo. D’altra parte, il genere umano è tendenzialmente portato ad auto-ingannarsi per trovare conforto interiore, e gli italiani in questo ambito sono campioni del mondo. Ma se questa inclinazione è fisiologica, negli ultimi tempi la nostra è diventata una grave patologia: non sappiamo e non vogliamo vedere dove stiamo andando per non essere costretti a dover accettare ciò che serve fare per invertire la rotta.


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