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Come avevamo anticipato il credito sottostante che allontanava il rischio Italia è rimesso in discussione e può essere riconquistato superando le tre prove a pieni voti facendo in casa investimenti e riforme e scegliendo fuori le alleanze giuste. Bandendo ogni richiamo della foresta delle origini populiste e dei tiri mancini di SalvinI

IL PIL italiano cresce ancora di più di quello della media europea, ma cresce meno del previsto e questo rende più onerosa la sostenibilità del debito pubblico italiano. Il modo in cui si è concepita la tassa sugli extraprofitti delle banche e, ancora di più, il modo in cui la decisione tecnicamente raffazzonata è stata comunicata, ha creato un vulnus nei rapporti con i mercati incrinando la fiducia sui nostri titoli sovrani e alimentando un piccolo rischio Italia che sostituisce l’eccellente giudizio acquisito sull’operato del duo Meloni-Giorgetti in finanza pubblica e in Europa con un punto di domanda su preoccupanti rigurgiti populisti. Siamo stati i primi a mettere sull’avviso questo esecutivo chiarendo che i piccoli, costanti rialzi di spread e rendimento, che significano 10/15 miliardi l’anno in più di spesa per interessi, sono l’espressione di una fattispecie minima di rischio Italia già emersa che va subito fugata, ma anche di una fattispecie ben più consistente di rischio Italia che vaga nell’aria e attende il governo Meloni al varco del varo prima della Nota di aggiornamento di economia e finanza (Nadef) e poi della legge di stabilità. Tenendo presente che tutto si incrocerà con l’esigenza assoluta di una gestione intelligente delle alleanze europee sul quadrante del nuovo patto europeo di stabilità e crescita e, infine, con il coraggio obbligato di sottoscrivere il nuovo meccanismo europeo di stabilità (Mes).

Nella giornata di ieri Morgan Stanley che è un player globale di cui tenere conto ha detto chiaro e tondo che “i fattori di supporto che hanno permesso allo spread” tra Btp e Bund “di attestarsi a 160 punti base si sono dissolti”. La loro previsione è di un ritorno a 200/210 punti base entro la fine dell’anno per lo spread tra Btp e Bund a dieci anni perché si attendono per l’autunno deficit fiscali più elevati e una crescita economica più debole. Noi avevamo parlato esplicitamente di credito sottostante acquisito e messo in dubbio ed è esattamente con ciò che deve fare oggi i conti Giorgia Meloni. Deve decidere lei, non altri, se provare a fare la nuova Thatcher ripetendo un modello di conservatorismo riformatore fatto di parole appropriate e atti concludenti o se farsi rigurgitare dal circuito interno di competizione elettorale alimentato da Salvini e dal quale si è fatta cautamente riassorbire negli attacchi a Gentiloni e all’antitrust europeo mostrando al mondo intero che è ancora sensibile al richiamo della foresta delle origini settarie o populiste.

Ecco, questo richiamo non può in alcun modo non dico prevalere, ma neppure appannare la via alternativa così felicemente assunta nei mesi di governo precedenti i colpi di sole di luglio e agosto. Deve decidere lei, non altri, se vuole essere la nuova Thatcher di cui l’Italia e l’Europa hanno bisogno o se vuole essere una delle tante meteore italiane che vengono inghiottite dalla loro stessa incapacità di creare risultati duraturi. Per Giorgia Meloni è arrivato il giorno dell’esame di maturità della sua azione di governo con due prove scritte, la prima Nadef-Manovra e la seconda Nuovo Patto europeo, e una prova orale che è quella della discussione e del voto del Parlamento sul meccanismo europeo di stabilità (Mes). Bisogna superare tutte e tre le prove con pieni voti altrimenti come già successo con Renzi e poi con Salvini sarà l’ennesimo caso di leadership politica con consensi che esplodono e poi tornano giù verticalmente o addirittura si riducono al lumicino.

Per diventare la nuova Thatcher è oggi fondamentale rafforzare su basi solide l’alleanza con la Francia sulla proposta di riforma del patto di stabilità e crescita europeo che rifiuta l’approccio pro ciclico perché quando l’economia va giù e il debito sale, bisogna poter fare non politiche restrittive ma più spesa pubblica per investimenti e meno tasse proprio per liberare l’economia. Questo dato, a quanto ci risulta, è contenuto nella proposta all’esame della Commissione e, al posto di indebolirci con attacchi a chi come Gentiloni ha ben lavorato sul punto, faremmo bene a allargare il ventaglio delle alleanze per rafforzare ulteriormente questo dato strategico di modo che sia categoricamente escluso che il patto costringa a interventi stupidi, come direbbe Prodi, che frenino ancora di più un’economia in fase di recessione o di rallentamento del suo ciclo espansivo. Niente austerità, per capirci, quando l’economia frena che non vuol dire fare il superbonus alla venezuelana, ma potere fare quegli investimenti che non riusciamo a fare e quelle riforme che non vogliamo fare.

Tutto deve avvenire attraverso le due prove scritte, Nadef-legge di stabilità e nuovo patto europeo, tra fine settembre e ottobre dove si conosceranno i numeri e le scelte effettuate, e poi ci sarà l’esame orale in Parlamento con il voto sul Mes. Avendo la piena consapevolezza che in tutti e tre questi passaggi tocca decidersi se provare a entrare nella strada che porta a contare qualcosa nella storia o se fare la rincorsa interna con Salvini che invita la Le Pen a Pontida. Al leader della Lega della grande partita italiana e europea gliene frega niente o quasi, il suo obiettivo è solo quello di strappare voti a destra alla Meloni e a Fratelli d’Italia. Alla prima donna premier della Repubblica italiana ciò che deve veramente premere è ben altro. Deve decidere ed essere capace di attuare la decisione presa di fare le più rilevanti riforme sulla spesa per gli investimenti come su tutti gli interventi di struttura mai fatti e che fiaccano storicamente la competitività del Paese.

Dove è la legge sulla concorrenza di quest’anno? A che punto sta? Che cosa facciamo con balneari e taxi e con le riforme di struttura di tutte le giustizie, della burocrazia, della velocizzazione dei pagamenti e della lotta all’evasione fiscale? Se non vogliamo tornare a ballare con lo spread e rientrare nel circuito perverso dei mega interessi che porta a indebitarci fino al collo per pagare stipendi e pensioni, dobbiamo fare queste cose qui. La nuova destra conservatrice della Meloni non può seguire percorsi alternativi a questo e non può fare confusione con le parole perché annullerebbe l’effetto fiducia contenuto in scelte così nette e chiare. Non può fare diversamente neppure nel contesto internazionale dove in un mondo multipolare è obbligatorio mantenere un buon livello dialogico con tutti e uno schema di alleanze storiche, magari allargato, che coincide con la migliore tutela dell’interesse nazionale.

Può fare tutto Giorgia Meloni meno che seguire la “stupidità” di alcune uscite alla Salvini nelle quali nemmeno lui crede, ma con le quali ritiene di poterla pugnalare alle spalle nell’urna. È troppo importante la partita della storia per perdersi in questi meandri di mediocrità pre-elettorali.


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