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Christine Lagarde, presidente della Banca Centrale Europea

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Chi governa l’Italia prenda atto che tassi alti a lungo si cumulano con 109 miliardi di eredità da Superbonus. Due macigni non sono il problema di una manovra, ma si mangiano la legislatura. Se si chiede a Draghi di dare una mano all’Europa è perché si riconosce il peso della sua mente economica. Se seguissimo la linea di competitività da lui tracciata in casa, ribalteremmo il quadro e la Meloni se ne avvantaggerebbe.

IL MESSAGGIO più forte lanciato dalla presidente della Bce, Christine Lagarde, è che i tassi rimarranno alti a lungo. I mercati hanno messo a frutto la segnalazione che si è arrivati al picco più alto, ovviamente un tantino sempre sub iudice per gli andamenti opposti non totalmente prevedibili inflazionistici o recessivi, ma la dura realtà per noi è che dalle comunicazioni della Lagarde si capisce che l’obiettivo di arrivare al 2% – penosa bugia che sostituisce quello reale del 3% – esige molto tempo.

Possiamo anche perdere giornate e chiacchiere a dire che hanno vinto i falchi, possiamo anche aggiungere che forse hanno torto, ma la realtà che conta per noi è una sola. È quella che il livello alto dei tassi durerà a lungo e noi continueremo a pagare tassi alti per un tempo assolutamente lungo che è il maggiore ostacolo possibile alla crescita italiana indispensabile per rendere sostenibile il suo debito. In termini di mercato si può fare anche il ragionamento che l’economia andrà ancora più giù e che, quindi, si potrà tornare a scommettere su tassi più bassi, ma per noi la somma finale dei due addendi non cambia perché sono entrambi segnaletici di una mancata crescita, se non addirittura di una recessione. A ciò aggiungete che la Bce ha abbassato tutte le stime di crescita dell’Europa ben cosciente che l’economia rallenta e insistendo sul fatto che tassi così alti servono proprio per farla ulteriormente scendere in modo da allentare la pressione inflazionistica.

Facciamola breve. Chi governa questo Paese, che è quello europeo con il maggiore debito pubblico rispetto al prodotto interno lordo, avendo noi superato anche la Grecia, deve prendere atto che la politica monetaria rimarrà restrittiva con tassi alti a lungo termine e deve anche capire che questo macigno si affianca ai 109 miliardi di eredità da effetto sui conti pubblici di superbonus e altri bonus ad esso collegati. Deve, insomma, prendere atto che non ha più solo un problema di questa manovra, ma che la restrizione monetaria lunga e l’eredità pesante del Superbonus si mangiano insieme l’arco dell’intera legislatura. Il problema non è più di ottica congiunturale con il balletto sul deficit rispetto al Pil elevato nelle prime stime fino alla cifra record del 6,5/7% per subito smentire, dando perfino la sensazione di giocare al pallottoliere con la credibilità del Paese, ma il problema è invece di ottica strutturale ed esige proprio una postura nuova nel modo di affrontare i temi cruciali degli investimenti e delle riforme che sono le due uniche armi in nostro possesso per contrastare l’onda d’urto che arriva in senso opposto. Abbiamo almeno attenzione a non toccare gli uomini dello Stato che hanno saputo e continuano a muoversi con molta attenzione sui mercati per collocare i nostri titoli pubblici. Il nostro debito pubblico ha una vita media di sette anni ed è stato molto importante avere collocato il numero massimo possibile di titoli quando i tassi erano a zero perché oggi sul triennale dei Btp siamo arrivati ai livelli del 2012, una data da brividi perché riguarda il pieno della crisi italiana dei debiti sovrani, e se la salita della spesa pubblica per interessi è oggi ancora graduale lo si deve proprio al fatto che il Tesoro fino al 2021 approfittando dei costi azzerati ha allungato le scadenze al massimo possibile. Per quello che può valere, la Lagarde ha anche invitato i governi a non fare misure fiscali espansive tipo superbonus perché se no noi dobbiamo addirittura rialzare ancora i tassi, ma a fare le riforme per la produttività e la competitività che sono le uniche cose che servono per contrastare il rallentamento economico.

Bisogna riformare l’economia in modo che possa moltiplicare il suo potenziale con interventi di struttura sulla concorrenza come sulla burocrazia, sulla giustizia, sul mercato del lavoro e così via per tutto ciò che può aiutare a rendere attrattivo il nostro Paese. Se Ursula von der Leyen si è rivolta a Mario Draghi per dare una mano all’Europa a recuperare la sua competitività e un ruolo all’altezza di player globale è perché come capo del governo europeo della moneta ha fatto quello che nessun altro banchiere centrale è riuscito a fare nel mondo e perché il peso politico della sua parola come mente economica si avverte in tutto il mondo occidentale. Se fossimo capaci nel frattempo di seguire la linea da lui tracciata anche in casa ce ne avvantaggeremmo tutti. Soprattutto la Meloni. Che ha detto ai suoi “non avete visto ancora niente” riferendosi ai giochi sporchi della politica, ma avrebbe fatto bene a chiarire che hanno visto ancora meno di quello che aspetta questo governo all’esame dell’economia durante la grande crisi. Prima lei, non altri, chiarisce il punto e agisce di conseguenza, meglio è. Altrimenti, sarà sempre più difficile evitare che il rischio Italia ritorni a salire in cattedra e metta tutti a tacere.

No, un’altra volta proprio no. Ci è bastata la seconda recessione portata in dote dalla crisi dei debiti sovrani, oggi non ci sarebbero più i margini di azione per sostenere la terza recessione senza uscire dal novero delle grandi economie del mondo. Ricordiamocelo e remiamo tutti nella stessa direzione.


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