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C'è un rallentamento dell'inflazione italiana

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C’è un rallentamento, ma è chiaro che gli aumenti dei prezzi dureranno a lungo attestandosi a un livello più alto del passato. È urgentissimo che si costruisca un nuovo grande accordo di politica dei redditi che coinvolga i sindacati nel solco tracciato dalla guida responsabile della Cisl di Sbarra, ma anche tutte le opposizioni che devono smetterla di giocare con il Paese. Il governo abbia l’umiltà di dire pubblicamente “decidiamo insieme” e si rifornisca dei talenti che non ha. Nessuno si chiami fuori da una nuova politica dei redditi che fornisca risposte durature ai problemi degli orizzonti lunghi che l’Italia deve affrontare e superare. La gravità della crisi globale e il sentiero stretto italiano da percorrere lo impongono

C’E’ UN rallentamento dell’inflazione italiana, che resta sopra la media europea, e c’è finalmente un rallentamento sempre italiano dei prezzi del carrello alimentare dove la mano dei profitti da sussidi si è sentita più a lungo e ha nuociuto pesantemente ai ceti più deboli e, dato da non sottovalutare, ha pesato su aspettative e fiducia che sono i due motori interni della crescita economica di un Paese. Quello che, però, deve essere chiaro a tutti è che nulla, o quasi nulla, cambia rispetto al tema strutturale dell’inflazione perché a scendere è il ritmo degli aumenti, non l’aumento che resta bello consistente (+5,3% complessivo su base annua; +8,6% i prezzi dei beni alimentari). Perché quello che, purtroppo, appare abbastanza chiaro con questi dati è che gli aumenti dei prezzi, anche se in misura minore di prima, dureranno ancora a lungo attestando i prezzi finali a un livello nuovo più alto del passato in modo strutturale.

Tutto ciò impone una nuova politica dei redditi di lungo termine che faccia la storia del Paese negli anni della uscita dalla doppia crisi globale. La prima è quella pandemica che ha accorciato le catene mondiali della logistica. La seconda è la guerra mondiale delle materie prime che è l’altra faccia dei carri armati russi in Ucraina e del mondo diviso in due baricentri, uno autocratico e uno democratico. Dico questo non per svalutare affatto lo sforzo compiuto con il patto trimestrale anti-inflazione firmato con distribuzione e produttori, che è un primo passo nella direzione giusta dovuto al gran lavoro del ministro Urso, né tanto meno quello che con margini così ristretti di agibilità fiscale il governo riuscirà a fare per il taglio al cuneo fiscale, ma semplicemente per sottolineare che la posta in gioco della partita è molto più alta e richiede uno sforzo collettivo con una regia che vada oltre per peso specifico e tasso di coinvolgimento quella storica messa in atto dal governo Ciampi nel luglio del ’93 dopo la prima grande crisi di pre-bancarotta italiana del ’92 da cui ci fece uscire il primo governo Amato.

Per capire i termini della partita di cui sto parlando farò un altro esempio. Vogliamo continuare a fare finta di credere che si stanno rinnovando i contratti del pubblico impiego mettendo i 2 miliardi che metteremo o vogliamo dire la verità che ce ne vorrebbero 30 se volessimo usare correttamente la parolona di rinnovo dei contratti? Nella finzione del primo caso siamo alla fase degli aggiustamenti da decimale della Nota di aggiornamento del documento di economia e finanza (Nadef) che non guasta. Nel secondo caso ci misuriamo con la voragine dei problemi che abbiamo davanti e la dimensione di questi problemi esige risposte di lungo termine che può dare solo una politica dei redditi con la P maiuscola di pari spessore della P della politica dei fondatori e degli statisti che appartengono alla grande politica di questo Paese.

Bisogna, insomma, avere almeno la capacità di respirare l’aria del Paese, oltre quella dei venti contrari del mondo, e avere dunque la consapevolezza che un cammino lungo di prezzi strutturalmente più alti imposto dalla situazione attuale, richiede risposte con effetti ugualmente di lunga durata che non possono essere espressione né della Nadef né della conseguente legge di stabilità che hanno un orizzonte comunque limitato. Serve una nuova politica dei redditi come si fece nel ‘ 93 avendo presente che allora si agì sul piano interno dopo la grande crisi italiana del ’92 ed oggi si agisce invece dopo due eventi globali senza precedenti che non sono ancora neppure finiti e che, tuttavia, anche se pandemia e guerra in Ucraina non ci fossero più, non si potrebbe comunque mai ricominciare con una mentalità del tipo “è tutto passato, rifacciamo come prima”. No, non è possibile ritornare a fare come prima. No, non è così perché la guerra nel cuore dell’Europa continua, le armi dei russi e i soldi dei cinesi sono arrivati prima di noi italiani e europei in Africa, perché è in atto la più grande rivoluzione del commercio globale con catene della logistica accorciate, rallentamento globale, volatilità dei prezzi delle materie prime e incertezza dei mercati.

La pandemia non è del tutto finita, ma anche se lo fosse lascia un’eredità di cambiamenti che agiscono in profondità. Nei mari procellosi di questo mondo nuovo capovolto, dove l’asse Sud-Nord ha preso il posto di quello Est-Ovest, la barca italiana naviga zavorrata da un debito che è il più alto in Europa e che i mercati sanno che nei prossimi tre anni non potrà nemmeno scendere a causa degli effetti del regalo venezuelano ai ricchi avvenuto attraverso il Superbonus edilizio al 110%. Anzi, se proprio la vogliamo dire tutta, i mercati si chiedono se non solo il debito italiano non scenderà, ma addirittura riprenderà a salire con tutto ciò che ne discende in termini di spesa per interessi. Di fronte a un rischio globale così elevato per il nostro Paese, è urgentissimo che su investimenti, lotta alle diseguaglianze, riforme di struttura a partire dalla concorrenza, si torni a costruire un nuovo grande accordo di politica dei redditi che coinvolga i sindacati nel solco tracciato dalla guida più lungimirante e responsabile che è oggettivamente quella della Cisl di Sbarra, ma anche tutte le opposizioni che devono tornare a fare politica chiedendo e ottenendo dimostrando di avere capito che è ora di smettere di giocare con il futuro del Paese.

Il governo deve avere l’umiltà di dire pubblicamente “decidiamo insieme” perché il momento del Paese lo richiede e deve chiedere l’aiuto dei talenti che non ha fidandosi e incoraggiandoli. La gravità della crisi globale lo impone, il sentiero stretto italiano da percorrere lo esige. Va bene la Nadef che non fa guasti, ma sia almeno chiaro a tutti che la Nadef che non fa guasti non basta più. Il problema che l’Italia ha davanti è quello degli orizzonti lunghi. Nessuno si può chiamare fuori da una nuova politica dei redditi che fornisca risposte durature ai problemi degli orizzonti lunghi che l’Italia deve affrontare e superare prevenendo invece di inseguire.


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