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Il presidente Usa Joe Biden in Israele insieme a Benjamin Netanyahu

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Servono una nuova leadership israeliana e palestinese. Occorre che la Cina cooperi rinunciando a cavalcare gli estremismi per coprire internamente la sua disfatta economica. Si svegli il vecchio mondo e l’Europa inesistente di oggi sia almeno in grado di accompagnare un’America che torni ad essere un arsenale delle democrazie invece che di mezzi bellici. Il rischio globale è elevato. La vulnerabilità italiana legata al suo debito pubblico ci farebbe pagare il prezzo più alto.

FACCIAMO i conti ogni giorno da un anno e mezzo con l’aggressione russa in Ucraina che ha colpito al cuore l’Europa e non finisce di cannoneggiare. Abbiamo cominciato a fare i conti con l’attacco alla democrazia israeliana del terrorismo sanguinario più spietato, quello di Hamas, che semina morte e sgozza donne, uomini e bambini, facendo migliaia di vittime in Israele e, molto probabilmente, con un razzo fuori misura fa saltare per aria un ospedale a Gaza con un altrettanto terribile carico di morti con donne, uomini, bambini. Siamo davanti a un rischio reale di destabilizzazione del Medio Oriente e dobbiamo tornare non solo a parlare, ma a fabbricare sostenibilità e integrazione in Europa e, più in generale, tra i Sud e i Nord del mondo. Dobbiamo, a questo punto, porci seriamente un tema prima di tutti. Come si può fare a costruire per davvero i due stati, quello israeliano e quello palestinese, ponendoci davanti alle cose per quello che sono non per quello che vorremmo che fossero.

Perché c’è un problema reale di leadership di Netanyahu e non si può continuare a fare finta di ignorarlo. Perché c’è la minaccia globale del mondo terroristico che è pericolosamente quello di Hamas, ma anche quello di una costellazione di pseudo leadership di minoranze fanatiche. Perché c’è un problema altrettanto reale di una leadership dell’autorità palestinese senza carisma e senza capacità. Davanti a un quadro così logorato il sistema internazionale deve essere in grado di fare da balia. Questa è la vera soluzione da perseguire per evitare che una guerra regionale alimenti nell’ignavia di tutti il rischio di una guerra globale. Bisogna cercare con tutti gli sforzi diplomatici possibili di trovare una qualche forma di casa o di vita decorosa a un popolo che altrimenti viene mantenuto in un brodo di cultura dentro il quale terrorismo e molto altro trovano la loro linfa.

Questo è un discorso tanto obbligato quanto molto complicato perché sulle divisioni palestinesi ci mangia il mondo arabo a sua volta diviso e non solo. Egitto, Iran, Qatar vogliono una Palestina divisa in molte fazioni di modo che ognuno cerca la sua fazione alleata e crea la sua dose di tensioni e tutto ciò, mescolato insieme, permette di trasmettere il racconto dei palestinesi distrutti da Israele e rinvigorire il grande mito che continua ad essere alimentato nelle loro folle. Il vero scoglio è che nessuno sa come fare ciò che è obbligato. Sulla carta è possibile risolvere il problema di sempre, ma nella pratica annullare decenni di storia caotica non si fa in un momento. È evidente che la costruzione seria di un risultato reale così ambizioso vuol dire per Israele stroncare al suo interno l’estremismo di destra. Non si può continuare a dire che non esistono quelli che continuano oggi a pensare solo di annettere coloni dappertutto e di continuare ad occupare territori fino al punto di togliere la superficie minima di territorio per fare lo stato palestinese. Non si può continuare a ignorare che nell’unica democrazia del Medio Oriente c’è chi continua a ripetere che dobbiamo distruggerli tutti pensando a Hamas ma di fatto allargando il risentimento dell’area palestinese. Non si può continuare ad ignorare che c’è un filo coperto che almeno negli interessi continua ad accomunare Putin, Hamas e tutte le minoranze estremiste del mondo con il rischio che si accentui il conflitto religioso oltre che quello di civiltà già in atto tra mondo autocratico e mondo moderno. Diciamoci la verità fino in fondo.

È tutto comprensibile, ma è anche tutto complicato. Ci siamo, purtroppo, sbarazzati di figure come quelle di Shimon Peres e dei grandi accordi che queste leadership illuminate hanno realizzato. Si è spezzato il dialogo tra Israele e Arabia Saudita, si sono indebolite le leadership palestinesi più forti. Si è pensato che si arrivasse a chissà quali risultati e si è prodotto solo il massimo di ingovernabilità. Il rischio che dalla guerra mondiale a pezzi si passi a pezzi che si incastrano in un nuovo rischio di guerra globale è diventato reale e fa paura. Tutte le le potenze internazionali hanno deciso che nessuno vuole la guerra mondiale globale tranne pochi fanatici e chi, come Hamas e Putin, pensano di sfruttare rendite odiose nel durante. Certo, quando si arriva a questo punto, il rischio che il matto butti il cerino sulla tanica di benzina c’è sempre, anzi c’è il rischio che i matti siano più di uno. Il rischio delle due grandi guerre insieme determina un rischio globale davvero elevato e, per quanto ci riguarda, non dovrebbe mai farci dimenticare neppure per un istante che la vulnerabilità italiana, legata al suo debito pubblico, farebbe pagare a noi il prezzo più alto.

Il problema, però, è più grande di noi. A valle dobbiamo come Italia essere attentissimi a non prestare il fianco su nulla ai mercati perché finiremmo mangiati dai rendimenti che dovremmo pagare in più per collocare i nostri titoli pubblici. Ieri il BTp decennale era al 4,98%. Queste sono le attenzioni da avere e gli effetti possibili da evitare a valle. A monte serve un concorso di attività e bisogna cominciare a dirsi le cose senza ipocrisie o tatticismi. Servono una nuova leadership israeliana e una nuova leadership palestinese. Bisogna che la Cina cooperi attivamente domando la tentazione di cavalcare demagogicamente questo estremismo per mitigare i contraccolpi interni derivanti dalla insoddisfazione della gente per le difficoltà economiche. Bisogna che si svegli il vecchio mondo e che l’Europa inesistente di oggi sia almeno in grado di accompagnare un’America che torni ad essere un arsenale delle democrazie invece che di mezzi bellici. Bisogna che torni a contare in modo prevalente la dimensione politico-ideale.


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