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Roberto Occhiuto festeggia la vittoria

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È un’impresa titanica, che può diventare storica, quella che aspetta il nuovo governatore della Calabria, Roberto Occhiuto. A patto che la Regione cambi totalmente prospettiva e modo di agire in tempi brevi oltre il ragionevole. Lo è per almeno due ragioni.

La prima, di più stringente attualità, è legata all’occasione irripetibile offerta dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, che necessita di approcci pratici rivoluzionari in una regione che quasi mai ha brillato per la spesa comunitaria. Una regione che non può permettersi di perdere l’ultimo treno per un riallineamento delle condizioni socio-economiche legate alla capacità di mettere in campo le energie umane giuste per sfruttare ogni possibilità. E questo Occhiuto lo sa.

Pochi giorni fa, in una intervista nella sede del Quotidiano del Sud, non ha mancato di sottolineare la sua intenzione di mettere mano all’apparato burocratico dell’ente, anche oltre il settore della sanità disastrata, che pure assorbe il 70% e passa del bilancio regionale, offre servizi inadeguati ai calabresi e con l’incolmabile buco nei bilanci delle aziende sanitarie, nonostante 12 anni di commissariamento, “regala” tasse aggiuntive (di qualche settimana fa la notizia che ci sono tutti i presupposti per un ulteriore incremento delle aliquote delle addizionali Irpef e Irap). L’impegno di Roberto Occhiuto, con il vento in poppa del pronostico favorevole, in quella nostra intervista era stato chiarissimo: “Più che alla giunta penso ai manager”.

La seconda ragione è in realtà intimamente legata alla capacità di attuare i buoni propositi e il risultato è conseguenziale. In questo turno delle regionali in Calabria ha votato poco meno del 44,38% degli aventi diritto, percentuale sostanzialmente identica alle precedenti elezioni del gennaio 2020 (44,33%).

Era stata quella la volta dell’elezione con oltre il 55% dei consensi di Jole Santelli, anche lei espressione dello schieramento di centrodestra, scomparsa prematuramente dopo pochi mesi. E se non ci fosse stato l’effetto traino delle elezioni comunali per il rinnovo di 82 enti calabresi, tra cui Cosenza, questa volta l’astensionismo forse avrebbe recuperato qualcosa in più. Ma già così si è ben oltre la soglia di sicurezza, e al di là di ipotetiche spiegazioni l’unica risposta certa è che la Regione recuperi in efficacia delle sue azioni sul territorio. La disaffezione alle urne non è mai un buon segno, ma di questa entità è più che un campanello d’allarme. Ecco perché la missione del nuovo governo regionale è carica di responsabilità.

Non è un mistero che le aspettative, e forse anche per questo l’interesse dei calabresi verso la Regione, è andato scemando non solo sulla scia della disaffezione al voto su scala nazionale e per più o meno tutti gli organi da eleggere, ma anche perché le risposte non sono state sufficienti.

Lo dicono le classifiche di tutto: Calabria tra gli ultimi. Checché si dica del racconto falsato di una realtà che, comunque, povera era prima del “racconto” e povera resta dopo. Nessuno, oggi, si sognerebbe l’81,87% dei calabresi che votarono, il 7 giugno del 1970, per la prima volta per la Regione. Altri tempi, altre aspettative e altra intensità di passione civile, politica ma anche di speranza. Nel primo statuto della Regione Calabria, approvato con legge dello Stato nel 1971, compariva una frase (all’articolo 3) che la diceva lunga su ciò che l’ente avrebbe dovuto fare e perché: la Regione “promuove lo sviluppo culturale, sociale ed economico delle popolazioni, nel quadro di indirizzi che valgono a riscattare la Calabria dalla sua storica arretratezza”.

Sarebbe semplicissimo bocciare senza possibilità di recupero questo mezzo secolo di regionalismo. Ma servirebbe a poco. Ecco perché l’impresa duplice e concatenata del nuovo governatore assume una valenza di pronto soccorso della Calabria e della credibilità dell’ente.


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