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Matteo Salvini e Silvio Berlusconi

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UN ABBRACCIO, come una volta facevano i leader del Cremlino, suggella l’incontro tra Silvio Berlusconi e Matteo Salvini, nella villa di Arcore. L’uso della prestigiosa ragione per incontrare l’ospite sembra fatto a misura dei due leader, entrambi con gli stessi problemi, con una flessione nelle votazioni e un desiderio di guadagnare posizioni. Ma anche per marcare i confini del proprio territorio rispetto a nuovi pretendenti. E proprio quando il simpatico abbraccio avveniva, Bobo Maroni metteva a segno un piccolo colpo, la candidatura di Luca Zaia alla guida del partito. Altro che pacificazione nel Carroccio, la battaglia sembra avere inizio proprio adesso dalla sponsorizzazione di un vecchio leone della Lega a scendere in piazza contro Matteo Salvini che per giorni, dopo avere accusato il colpo del forte calo, sembrava avere messo in disparte antichi dissapori per approdare su spiagge tranquille.

Che sia stato spinto a iniziare il combattimento, questo per Maroni è innegabile. La vecchia guardia mal sopportava (e lo faceva capire senza tante remore) le sfuriate di questo giovanottone leghista che aveva tolto al Carroccio quel marchio un po’ razzista. Insomma, la Lega con Salvini cavalcava altri destrieri, forse meno rustici rispetto a quelli amati dal popolo.

Nella nota ufficiale Salvini e Berlusconi mettono in risalto che si è trattato di un cordiale incontro (e senza alcun dissidio come avvenuto tra Salvini e Giorgia Meloni). Il colloquio sarebbe servito per mettere a punto il “fitto calendario di appuntamenti istituzionali” delle prossime settimane, ma anche le priorità che dovranno essere affrontate dal futuro governo. Su questo tema è stata ribadita la “massima comunità di intenti”: “è necessario dare presto all’Italia un esecutivo compatto di alto livello capace di affrontare sfide complicate a partire proprio dall’emergenza originata dai prezzi record dell’energia”.

Il vice presidente di Forza Italia, Antonio Tajani, ha rovesciato sulla sinistra le responsabilità “la sinistra cerca di seminare zizzania sulle nomine dei ministri. Hanno perso le elezioni e ovviamente cercano di screditare chi ha vinto”. Salvini? “Per quanto ci riguarda può fare quello che preferisce, poi deciderà il futuro presidente del Consiglio.” Tajani ha aggiunto: “Io ministro? Non è obbligatorio diventare ministro. Se sarò utile, Berlusconi deciderà cosa dovrò fare, altrimenti per me è già un onore essere parlamentare”. Quanto alle parole del presidente americano Joe Biden, che si è detto preoccupato per l’Italia, il coordinatore di Forza Italia, replica: “L’Italia è un paese democratico e i cittadini decidono liberamente a chi affidare la maggioranza in Parlamento. Non capisco la preoccupazione. Siamo una garanzia di europeismo e serietà. Ci dicono che il governo durerà poco? È una previsione un po’ iettatoria. All’Italia interessa la stabilità. Qualche iettatore c’è sempre”.

Tutta un’altra musica sul versante di via Bellerio. Il segretario incontra per un’ora e mezzo i parlamentari ai quali ha chiesto coesione non solo “all’interno dei gruppi, perché sotto traccia c’è fibrillazione sia riguardo al tema dei congressi che sul dopo voto”. Si guarda innanzitutto alle mosse in Veneto e Friuli, sia Zaia che Massimiliano Fedriga restano sorvegliati speciali dei “salviniani”. A chi chiedeva a Zaia se intendesse fare il segretario della Lega ha risposto: “Ma che staffetta con Salvini”. Il primo banco di prova della tenuta dei rapporti si avrà nella fase di formazione della squadra di governo. Si vedrà se la promessa “di condivisione delle scelte con i governatori sarà mantenuta” ha precisato Zaia.

Intanto a poche centinaia di metri si alzava il cantiere del Pd. Il segretario dimissionario Enrico Letta ha mandato una lettera agli iscritti nella quale c’è la seguente descrizione: “Congresso costituente del nuovo Pd”. È un appello trasversale di personalità nel campo progressista “per una discontinuità dem. Tutto è in discussione dal nome, al simbolo, all’organizzazione”. Enrico Letta si è ritagliato il ruolo di traghettatore del partito. Chiede una “rigenerazione e una rifondazione” che non sia però un’operazione di facciata. Ammette la sconfitta anche “se ne usciamo con un risultato insufficiente sulle nostre spalle c’è la responsabilità di organizzare un’opposizione seria alle destre. Abbiamo il tempo e la forza morale, intellettuale e politica per rimetterci in piedi”. Il congresso che attende il Pd, secondo Letta sarà diviso in quattro fasi, la prima sarà quella della chiamata, che durerà alcune settimane. La seconda sarà quella dei nodi, ovvero affrontare le cose che vanno risolte, dall’identità al nome al simbolo. La terza fase sarà sul confronto delle candidature, infine le primarie tra due candidati segretari.


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