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Matteo Salvini

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MATTEO Salvini è accerchiato e isolato. Tutto questo, però, non lo scompone. Il leader della Lega preferisce blindarsi nel fortino di fedelissimi per continuare a propugnare la resistenza. E in risposta ai malumori Salvini convoca per la seconda settimana di fila il consiglio federale per incassare un’altra volta la fiducia. «È un segno di debolezza» profetizzano alcuni parlamentari che frequentano le stanze leghiste. Anche perché da nord e sud è tutto un «Matteo ha perso il tocco magico», «se andiamo avanti così siamo destinati a tornare al 4%», «è ora che si faccia da parte».

Nella sua regione, la Lombardia, è nato ad esempio il “Comitato Nord”, la prima corrente della storia della Lega. L’idea è venuta a Umberto Bossi che da metà agosto è al lavoro per raccogliere attorno a sé chi rumoreggia e intende mettere in discussione la leadership di Salvini. Il senatur ha affidato la gestione degli aspetti organizzativi a Paolo Grimoldi, leghista dal ’91, già segretario dei giovani padani, e fino a pochi mesi a capo della segreteria della Lombardia. E Grimoldi ha espresso tutto il suo disagio in un’intervista al Corriere della sera: «Non è possibile che in un movimento autonomista tutte le decisioni vengano prese dal centro. Vorrei capire perché i veneti non possono scegliersi un segretario e lo stesso dicasi per gli altri». E ancora, sempre Grimoldi: «È normale che in campagna elettorale abbiamo parlato del ponte sullo Stretto di Messina e abbiamo trascurato la Pedemontana? È accettabile che votiamo il reddito di cittadinanza e non diamo risposta ai pensionati? Io sono entrato nella Lega per ragioni diverse da quelle che ho sentito negli ultimi tempi».

Oltre al senatur e alla sua corrente, ci sono altre voci fuori linea rispetto all’attuale segreteria che rimandano all’ex ministro Roberto Castelli, a Roberto Maroni, che fu segretario del Carroccio dopo Bossi, a Giancarlo Pagliarini e a un altro pezzo da novanta del leghismo d’antan, come Francesco Speroni. Insomma, la fronda si allarga di giorno in giorno. E chissà se prima o poi batteranno un colpo i governatori del Nord. Di certo, pesano i risultati elettorali degli ultimi tre anni. Se il confronto è con le Europee del 2019, il crollo è dal 34% all’8%. Se invece il confronto è con le elezioni politiche del 2018 il Carroccio ha lasciato per strada oltre tre milioni di voti. Pesano poi l’atteggiamento ondivago sulla politica estera, il famoso viaggio in Polonia, il programmato volo in Russia poi cancellato, i rapporti ambigui con lo Zar Putin. Gaffes e sgrammaticature che non inducono il diretto interessato al passo indietro. Anzi. Il segretario del Carroccio si scaglia contro la stampa che, a suo avviso, «in un momento drammatico per il Paese tra guerra, missili coreani, gas, emergenza bollette e inflazione» lo prende di mira.

Batte i pugni con l’alleata Meloni per ottenere il Viminale per sé, e un dicastero per il duo euroscettico Alberto Bagnai e Claudio Borghi. E non contento davanti al consiglio federale rilancia la flat tax che ha fatto storcere al capo degli industriali Carlo Bonomi: «Avanti tutta sull’estensione della tassa piatta fino a 100 mila euro di fatturato e superamento della Legge Fornero grazie a quota 41, per dare opportunità ai giovani». E se Luca Zaia gli chiede di confermare i tre ministri uscenti dell’esecutivo Draghi – Giancarlo Giorgetti, Massimo Garavaglia ed Erika Stefani – Salvini ricorda che la Lega ha donne e uomini di valore «che possono ricoprire incarichi di grande responsabilità». Come dire, «non spetta a te, caro Luca, indicare i futuri ministri». Sia come sia, dopo oltre due ore di consiglio federale il quadro non muta. La Lega conferma a Matteo Salvini pieno mandato per proseguire i lavori con gli alleati per dare all’Italia un governo politico e all’altezza delle aspettative.

Tutto questo si legge nella nota finale che ha approvato all’unanimità le priorità del partito: stop al caro bollette, estensione e rafforzamento della flat tax, sicurezza nelle città, via libera ai cantieri, taglio della burocrazia, valorizzazione di settori come l’agricoltura, la pesca e il turismo. Tradotto, Salvini resta in sella. Ma il rumore di sottofondo è sempre lo stesso: «Perché non si dimette?».


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