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Giorgia Meloni

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GIORGIA Meloni è convinta di potere fare en plein alle Europee del 2024. Una competizione elettorale, quest’ultima, che sarà un tornante decisivo per il destino della destra europea, ma anche per le sorti del governo italiano. La premier, in questo lungo anno di governo, ha rimodulato la narrazione ancorandosi alle posizioni europeiste e atlantiste, di fatto così sganciandosi dal sovranismo. E, soprattutto, ha messo a terra una legge di Bilancio nel segno della sostenibilità e della responsabilità, così da inviare un messaggio distensivo alla Commissione Ue e ai mercati finanziari.

EUROPEE, L’IPOTESI CANDIDATURA DELLA MELONI

Ora, però, si è entrati in campagna elettorale. «Urge cambiare spartito» dicono le truppe meloniane. Primo appuntamento cerchiato in rosso: la festa di Atreju, segnata sul calendario nella seconda settimana di dicembre. Lì inizierà ufficialmente la corsa alle europee. Racconta chi le parla ogni giorno che “fare en plein” significa superare il 30%. Oggi, nei sondaggi, Fratelli d’Italia veleggia intorno al 28%, e soprattutto Meloni continua ad avere un indice di gradimento alto rispetto a quello dei singoli ministri. I sondaggisti le riferiscono che è lei il valore aggiunto della coalizione e del partito. Ed ecco dunque la prima novità: non c’è nulla di ufficiale ma, come ha riportato il Giornale, Giorgia Meloni starebbe seriamente pensando di candidarsi alle Europee come capolista. Una novità che include gli aspetti positivi di cui sopra – la possibilità per il partito di Meloni di superare largamente il 30% – ma anche delle controindicazioni. Il rischio, a questo punto, sarebbe quello di costringere Salvini e Tajani a gareggiare anche loro, aprendo di fatto a una sorta di primarie interne che potrebbe lasciare delle ferite nella coalizione.

LA RIFORMA-BANDIERA

Sia come sia, le mosse della premier nelle ultime ore vanno tutte in questa direzione. Perché accelerare sul disegno di legge costituzionale che introduce l’elezione diretta del presidente del Consiglio? E perché far partire l’iter della riforma da Palazzo Madama? Semplice. Perché Meloni vorrebbe che si arrivasse all’approvazione in un ramo del Parlamento prima dell’appuntamento elettorale del giugno prossimo. E Palazzo Madama è congeniale perché il regolamento è più fluido di quello della Camera e i tempi del dibattito sono certi e rapidi: si possono contingentare e per le opposizioni diventa più difficile fare resistenza. Ragion per cui, per sventolare una bandiera in campagna elettorale, è necessario partire dal Senato. Così da poter dire all’elettorato amico, ma anche a chi fino a oggi non l’ha presa in considerazione: «Avete visto, io faccio sul serio, rispetto il programma di governo». Non a caso, le truppe di Meloni continuano a esternare in questa direzione. «Quella del governo Meloni è una riforma rivoluzionaria. Una riforma che servirà a far eleggere dagli italiani il presidente del Consiglio, a impedire ribaltoni e governi tecnici e a far valere il voto espresso nelle urne» afferma Tommaso Foti, capogruppo alla Camera di FdI.

Per di più, sempre nella lunga campagna elettorale delle europee, che è di fatto già iniziata, Meloni potrebbe portare un altro risultato: l’accordo con l’Albania sui migranti. Un altro risultato di non poco conto, visto che anche costituzionalisti del calibro di Sabino Cassese ritengono sia «utile e legittimo». Nel corso di un’intervista con il Foglio, il professor Cassese la mette così: «L’accordo è utile e farà felici i Paesi secondari, Francia e Germania. L’accordo prevede chiaramente il rispetto del diritto europeo e quindi di quello italiano. Non saremo processati dalla Corte europea per i diritti dell’uomo». Migranti e riforma del premierato saranno sufficienti per sbancare in campagna elettorale? Di sicuro Meloni se la dovrà vedere con un’opposizione in modalità Aventino.

L’OPPOSIZIONE

Elly Schlein, da giorni, è una furia, non solo nei confronti di una manovra «senza un’anima, né una visione». Da qui l’incontro di queste ore con Maurizio Landini, che ha esposto lo sciopero generale che comincerà il 17 novembre: «Abbiamo illustrato le ragioni dello sciopero proclamato con la Uil, abbiamo ribadito il giudizio negativo sulla manovra e chiesto la disponibilità anche al Pd di sostenere le proposte di modifica alla legge di Bilancio. Abbiamo trovato disponibilità e consenso anche sulle critiche». E ancora, sempre Landini uscendo dalla sede nazionale del Pd, a Largo del Nazareno: «È importante che il Parlamento raccolga le richieste di cambiamento sulla politica sociale ed economica del governo che vengono dal Paese, dalle forze sociali. Come sindacati proporremo alle forze politiche degli emendamenti da presentare, abbiamo colto la disponibilità a lavorare in questa direzione. C’è la necessità di cambiamenti di fondo perché è una manovra molto sbagliata».

Insomma, l’opposizione si attrezza per provare a dare la spallate. Tuttavia, con il nuovo anno, e se i dati macroeconomici miglioreranno, Meloni potrebbe tirare fuori dal cilindro una misura sul modello degli 80 euro di Matteo Renzi del 2014. «Per far respirare gli italiani travolti dal carovita». E forse per tentare di vincere le Europee.


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