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FORSE la tragica esperienza vissuta con il Covid, forse la esplosione di una imprevedibile guerra all’interno dell’impianto territoriale europeo, forse la sommatoria di evoluzioni tragiche come quella dell’Afghanistan o quella della recente guerra in Israele, hanno reso possibile più che un interesse per la Unione Europea una nuova coscienza della Unione Europea e dell’Europarlamento.

Questa sensazione trova anche riscontro in un preciso comportamento della Commissione Affari Costituzionali europea che, nello scorso mese di ottobre, aveva votato, a larga maggioranza, il testo di riforma dei trattati da presentare al Parlamento europeo e al cui interno emerge chiaramente un rafforzamento del ruolo legislativo dell’Europarlamento; inoltre tale proposta sostituisce la assurda unanimità con una maggioranza qualificata in un numero rilevante di decisioni prese in Consiglio europeo e include una rilevante crescita del budget europeo. Tutto questo accadeva ad ottobre, nel Consiglio del 13 dicembre scorso si è invece fatto solo un accenno al tema delle riforme.

È vero che la proposta di riforma discussa nel mese di ottobre sia stata poi quasi dimenticata nel Consiglio del 13 dicembre, tuttavia dal 2009, cioè dopo l’atto di riforma di Lisbona, una simile proposta era senza dubbio quella più avanzata e, forse, più rivoluzionaria. Il Consiglio di dicembre non l’ha approfondita perché ormai si era coscienti di essere alla fine di un quinquennio ma sicuramente un simile atto diventerà la base di una riforma che, a mio avviso, potrebbe portarci verso la costituzione degli Stati Uniti d’Europa entro i prossimi dieci anni. Ho fatto queste considerazioni perché ci stiamo avviando ad una campagna elettorale per il nuovo Europarlamento che contiene al suo interno una serie di condizioni, una serie di presupposti che la rende completamente diversa dalle campagne elettorali del passato. Giorno dopo giorno ci stiamo convincendo che questa volta non è una campagna da sottovalutare: eleggeremo questa volta parlamentari che entreranno in un Europarlamento che vaglierà norme e direttive che non hanno più la “tranquillità” del ricorso al veto da parte di uno o più Stati. Cioè non disporremo più di un Europarlamento democratico ma non incisivo, democratico ma non determinante nella approvazione di determinate scelte strategiche.

Quello che sicuramente sarà il primo effetto di questa nuova fase istituzionale della Unione Europea è il riaccendersi di un forte bipolarismo, cioè di una forte contrapposizione tra uno schieramento di centro destra ed uno schieramento social democratico. Un simile esasperato nuovo impianto democratico comunitario preoccupa perché inciderà molto su alcune aree tematiche quali: Le nuove logiche che caratterizzeranno il Fondo di Sviluppo e Coesione ed in modo particolare le scadenze temporali contenute in tali atti programmatici; il 2027 sarà un anno in cui le risorse dovranno essere utilizzate definitivamente e difficilmente sarà possibile prorogare tale termine al 2029 I termini previsti per il Repower e, soprattutto, le varie iniziative infrastrutturali, legate a tale programma, saranno attentamente seguite e sarà difficile costruire possibili rivisitazioni o possibili rinvii delle scadenze prefissate.

Il PNRR non potrà più essere oggetto di possibili revisioni e, soprattutto, dovrà dare concreta attuazione alle riforme e dovrà rispettare la scadenza del giugno 2026 per il definitivo utilizzo delle risorse In realtà misureremo direttamente le positività o le negatività di un Parlamento che si comporterà come un Parlamento democratico normale legato ad una maggioranza di Governo. Cioè vivremo il prossimo quinquennio comunitario in modo completamente diverso e misureremo le vicinanze e le distanze tra il nostro Governo, tra la maggioranza presente nel nostro Parlamento e la nuova compagine parlamentare comunitaria. Forse però il primo elemento, il primo effetto che avvertiremo subito sarà il rapporto tra il nuovo Europarlamento e i vari Mezzogiorni d’Europa, ho infatti paura che prenda corpo una sostanziale rilettura delle aree definite “Obiettivo Uno”, quelle in cui il Prodotto Interno Lordo pro capite è inferiore al 75% della media comunitaria, cioè una rilettura capillare dei relativi parametri.

Addirittura tornerà di moda un rapporto diretto tra le singole Regioni e la Unione Europea; un rapporto senza dubbio giusto ma che in passato aveva raggiunto soglie poco accettabili; in realtà a seconda delle maggioranze comunitarie ci saranno rapporti privilegiati o meno tra la Unione Europea e ogni realtà regionale. Una Unione Europea che finalmente non produrrà solo direttive particolari e solo vincoli quasi sempre divisivi ma una Unione che affronterà le grandi tematiche e perderà quella caratteristica che sin dall’inizio aveva caratterizzato questo consesso come la sede delle generiche finalità, come la sede di una difficile ed inutile funzione. Avevamo dato vita in realtà ad un Parlamento che aveva come obiettivo primario quello di dare consistenza ad una miriade di finalità e di esigenze dichiarate da tutti gli Stati membri ma il cui risultato poteva anche non essere raggiunto. Tutto questo è finito o sta finendo ed a mio avviso non dobbiamo assolutamente non condividere ed apprezzare questo cambiamento perché in fondo lo abbiamo cercato sin dal 25 marzo del 1957, cioè sin dalla firma del Trattato di Roma e dobbiamo ammetterlo ma la nostra innata ipocrisia ha sempre denunciato questa sostanziale finalità ma, al tempo stesso, ha sempre sperato di non vederla mai attuata.

E per 66 anni abbiamo accettato queste caratteristiche e queste funzioni che sinteticamente riporto di seguito: A partire dal trattato di Lisbona del 2009, il Parlamento europeo gode adesso di sostanziali poteri legislativi, di bilancio e di controllo; il Parlamento ha il potere di approvare e modificare la legislazione e decide in merito al bilancio annuale dell’UE su un piano di parità con il Consiglio (Stati membri). Fa sì che la Commissione e altre istituzioni e organi dell’UE rendano conto del proprio operato.

Poteri legislativi dell’Europarlamento

La stragrande maggioranza delle leggi dell’UE è approvata mediante la procedura legislativa ordinaria (spesso denominata procedura di “codecisione”, come era chiamata prima). Si tratta del normale processo decisionale legislativo dell’UE, che attribuisce lo stesso peso al Parlamento europeo e al Consiglio dell’Unione europea (Stati membri). Si applica a una vasta gamma di settori, quali l’immigrazione, l’energia, i trasporti, i cambiamenti climatici, l’ambiente, la protezione dei consumatori e la governance economica. Un’altra procedura decisionale è la procedura di “approvazione”. Essa implica che l’approvazione del Euorparlamento è necessaria e si applica a questioni quali l’adesione di nuovi Stati membri dell’UE e agli accordi commerciali internazionali dell’UE.

La procedura di “consultazione” è applicata in ambiti quali l’imposizione fiscale, il diritto in materia di concorrenza e la politica estera e di sicurezza comune. Consente al Parlamento di approvare o respingere una proposta legislativa, così come di proporre emendamenti alla stessa. Sebbene la posizione del Parlamento non vincoli il Consiglio, quest’ultimo deve consultare il Parlamento e attendere la sua posizione prima di prendere una decisione. In caso contrario l’atto sarebbe illegale e potrebbe essere soggetto a un eventuale annullamento da parte della Corte di giustizia. Inoltre, quando modifica sostanzialmente una proposta, il Consiglio deve consultare nuovamente il Parlamento.

A chi spetta l’iniziativa legislativa? Chi avvia il processo legislativo?

Sebbene spetti alla Commissione europea proporre nuove leggi dell’UE, l’Europarlamento può assumere l’iniziativa chiedendo alla Commissione di presentare una proposta legislativa. Quando ricorrono a tale “iniziativa legislativa”, i deputati al Parlamento europeo possono fissare un termine per la presentazione di una proposta. Se la Commissione rifiuta, è tenuta a spiegare il perché.

Atti delegati e atti di esecuzione dell’Europarlamento

Al momento dell’approvazione di una nuova legge, il Parlamento europeo e il Consiglio possono chiedere alla Commissione di apportare piccole aggiunte o modifiche, ad esempio allegati o aggiornamenti tecnici, mediante atti delegati (che integrano o modificano parti della normativa) o atti di esecuzione (che stabiliscono i dettagli delle modalità di attuazione della legge). In tal modo, la legislazione può rimanere semplice e aggiornata senza dover avviare nuovi negoziati. A seconda del tipo di atto adottato dalla Commissione, i deputati al Parlamento europeo dispongono di diverse opzioni in caso di disaccordo con le misure proposte.  Nel caso degli atti delegati, i deputati al Parlamento europeo hanno il diritto di veto.  Per gli atti di esecuzione, i deputati possono chiedere alla Commissione di modificare o di ritirare tali atti, ma la Commissione non ha alcun obbligo giuridico di farlo.

Appare evidente che seguendo questo tipo di logiche e questa illusione di codecisione che porta quasi sempre alla scelta finale da parte della Commissione, il ruolo del Parlamento rimane sempre estraneo da ciò che definiamo momento decisionale e, sembra strano, ma leggendo attentamente tutti gli spazi di sua competenza e tutte le possibili azioni incisive scopriamo che esiste solo un momento ed una occasione in cui l’Europarlamento ha un ruolo: quando elegge il presidente della Commissione e approva la Commissione in quanto organo e quando può votare una mozione di censura, obbligando la Commissione a dimettersi. In realtà finora abbiamo assistito ad un Parlamento ingessato e a membri del Parlamento che, purtroppo, erano coscienti dei limiti di un consesso che difficilmente avrebbe potuto incidere sul ruolo, sulle funzioni e sulle decisioni della stessa Commissione.

Quindi meditiamo a lungo le linee politiche e le proposte che i vari schieramenti politici prospetteranno nella ormai avviata campagna elettorale ed evitiamo di essere superficiali, evitiamo di immaginare un nuovo Parlamento simile a quello che abbiamo ormai eletto da tanti anni e cerchiamo di capire quali possano essere gli sviluppi reali che consentiranno, agli eletti per il prossimo quinquennio, di garantire, davvero, gli interessi comuni e, al tempo stesso, porre le basi per la costituzione degli Stati Uniti d’Europa.

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