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Il presidente dell'Ucraina Zelensky

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C’è veramente da sperare che l’Italia sia un Paese molto diverso da quello che viene rappresentato in questi giorni da politici di tutti gli schieramenti, (molti dei quali finalmente uniti nel coro, dalle estreme e nelle varie gradazioni della sinistra e della destra), intellettuali seri e/o più o meno tuttologi, personaggi di varia umanità che sono di casa nei salotti televisivi e che da giorni e giorni discettano sulla presenza via video di Zelensky a Sanremo e sul fatto se sia lecito o no che in quel contesto egli vi legga un messaggio è da presumere sulle morti, massacri e devastazioni che il suo popolo sta subendo da un anno a questa parte, a causa della volontà di potenza dell’autocrate del Cremlino.

Fin da ora se si raccogliessero i vari “pensamenti” che risuonano dalle più svariate sponde mediatiche, uno studente universitario sarebbe già in grado di compilare una tesi triennale per fare seriamente il punto su quante e quali più o meno raffinate o invece sgangherate argomentazioni vengano chiamate in causa soprattutto da parte di chi proprio non trova conveniente che il presidente di un Paese martoriato da una drammatica guerra di aggressione/invasione voglia “approfittare” della larga audience del festival sanremese per gridare il dolore di un popolo che chiede di poter continuare a essere tale. Se si pensa poi a un presente che lascerà traccia di sé e che i posteri giudicheranno, allora non si può che provare una sensazione ancora più triste, pensando alla probabilità che gli storici del futuro possano imbattersi in documenti che danno conto della “diatriba” in atto e ne possano ricavare un affrettato giudizio complessivo sullo stato assai malconcio dell’opinione pubblica italiana nel suo complesso, nell’ultima decade del gennaio 2023. Davvero gli Italiani si appassionavano a discettazioni di questo tipo? Davvero credevano che fossero serie e improntate a un minimo di ragionevolezza argomentazioni che, sotto le mentite spoglie dell’opportunità dell’irruzione di due minuti del dramma della guerra sul palcoscenico di una gara canora, in realtà invocavano par condicio fra aggressori e aggrediti?

Lasciamo questi interrogativi al futuro, nella consapevolezza che gli storici di quell’epoca faranno sicuramente il loro mestiere di serio approfondimento e non dedurranno dall’ apparire mediatico un giudizio complessivo sulla effettiva realtà del presente di casa nostra. Essi affineranno senz’alcun dubbio le loro indagini e ne ricaveranno che il buon senso del cittadino comune era di gran lunga più maturo rispetto alle discettazioni dei personaggi di cui sopra e che ancora una volta il divorzio fra paese reale e paese politico-mediatico era profondo. Ritornando al presente dei “cittadini normali”, quelli che vorrebbero pure trovare una loro espressione da qualche parte e non come oggetto sondaggistico mirato a strumentalizzazioni varie, e che accarezzano l’illusione di trovare una loro voce anche semplicemente come utenti del servizio pubblico radio-televisivo, anche da questo punto di vista hanno di che disperare. Un breve giro in rete, in relazione alla querelle di cui sopra, li farà imbattere infatti in un comunicato in data 26 gennaio dal seguente titolo: “Zelensky a Sanremo 2023, Associazione Utenti dei Servizi radiotv diffida la Rai”, dove bacchettando la possibile presenza-video del Presidente ucraino, si sottolinea in primis che «la Rete pubblica non può diventare palco per propaganda politica».

Se poi di fronte al più che disinvolto uso del termine “propaganda” in merito al dar voce a un Paese che da un anno a questa parte subisce massacri e devastazioni di ogni tipo, i cittadini allibiti volessero continuare nella lettura argomentativa della diffida alla Rai da parte di tale organismo (che risulta iscritto al Consiglio Nazionale dei Consumatori e Utenti e che gode di riconoscimento ministeriale), allora sbalordirebbero ancora di più leggendo quanto segue: «Condividiamo l’appello lanciato oggi da una lunga schiera di intellettuali per dire no a Zelensky a Sanremo -spiega l’associazione- Un festival musicale, per di più trasmesso da una rete di Stato finanziata dai cittadini che pagano il canone, non può diventare un palco politico, indipendentemente dall’aggressione subita dall’Ucraina e da chi abbia torto o ragione. Il rischio concreto è quello di trasformare l’Ariston in un teatro di propaganda dal quale chiedere più armi e interventi dello Stato a favore dell’uno o contro l’altro, contravvenendo agli obblighi del servizio pubblico che impongono alla Rai equilibrio, pluralismo e par condicio.» E ovviamente a seguire fior di trombe mediatiche daranno spazio a tale comunicato, presentandolo in qualche misura come avente il crisma della imparzialità, dato che si tratta di una voce che si presenta come quella di consumatori e utenti del servizio pubblico.

Non vale nemmeno la pena spendere alcun commento in proposito, dato che le argomentazioni sopra riportate si commentano da sé anche a una prima lettura, nella misura in cui vanno a scomodare termini quali “ equilibrio, pluralismo e par condicio” ecc., termini tutti che fanno rabbrividire, se applicati alla situazione in oggetto… Del resto quando nelle prime fasi della guerra in corso Zelensky si rivolse via video al Parlamento italiano, ricordiamo bene che già allora c’era stato chi (anche fra i parlamentari) aveva invocato la par condicio per dar voce anche a Putin… Niente di nuovo sotto il sole, anche da parte di chi si autoproclama difensore dei consumatori e utenti del servizio pubblico. Si tratta dello stesso organismo del resto, questo della Associazione Utenti dei servizi radiotelevisivi, che ha dimostrato tutta la sua “credibilità” solo poche settimane fa, quando non ha battuto ciglio per come la RAI, servizio pubblico per il quale i cittadini pagano le tasse, in occasione del tentato golpe bolsonarista in Brasile dell’8/9 gennaio, non abbia affatto svolto un servizio di adeguata informazione in proposito e si sia fatta largamente battere da La7 che ha immediatamente organizzato un lungo “speciale” in proposito, anche in assenza del solito Mentana e pur se si trattava di andare in onda con una lunga diretta non stop nel pomeriggio/notte, ore italiane, fra la domenica e il lunedì.

Forse l’Associazione degli Utenti sopra richiamata non ritiene tanto importante la mancata e immediata informazione su gravissimi fatti che hanno a che fare con le sorti della democrazia: forse che la democrazia può attendere?


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