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Giorgia Meloni

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GIA’, e se poi alla fine l’underdog, “per semplificare: lo sfavorito”, con un balzo si prende il centro della scena, diventa il protagonista e ribalta tutti i pronostici? “E’ quello che vogliamo fare”, ha assicurato Giorgia Meloni, prima donna presidente del Consiglio nell’ora e passa in cui nell’emiciclo di Montecitorio ha sciorinano i suoi obiettivi e messo in mostra la grinta necessaria a conseguirli. Ha detto molte cose, il capo dello governo ed è giusto passarle in rassegna. Ma più di tutto ha colpito il modo in cui l’ha fatto. A muso duro, avrebbe cantato Pierangelo Bertoli.

In un impasto di emotività femminile e determinazione leaderistica, con un mood che forse ha spiazzato molti ma non chi è abituato a frequentarla. Quello pronunciato nell’emiciclo di Montecitorio è un discorso di insediamento che da almeno un decennio non si ascoltava. Il discorso di una leadership politica che si è gettata nello scontro elettorale ed è stata letteralmente ricoperta di consensi. Il discorso di chi si è accollato sulle spalle “il macigno” della governabilità in una delle fasi più difficili del dopoguerra ma che è determinata, proprio in virtù delle scelte degli italiani, ad andare fino in fondo: “Non rinunceremo mai a riformare l’Italia. Io lo farò anche a costo di non essere rieletta”. “La pace ha i suoi prezzi”, ha scandito il presidente del Consiglio ribadendo che il nuovo governo confermerà gli impegni presi con l’Ucraina e resterà saldamente ancorato ai vincoli occidentali, nel rapporto sia con gli Usa che con la Nato.

Ma quel che in questo momento più conta è l’ancoraggio alla realtà, che poi è la discriminante tra un capo politico e un dilettante. E la realtà dice che c’è in atto l’emergenza energia, il caro bollette che strangola imprese e famiglie. Contrastarla sarà la priorità del governo, e pazienza se per vincere questa battaglia bisognerà rinunciare ad altre misure pure importanti. Senza fare follie sui conti, senza scostamenti di bilancio. E sotto questo profilo non è stato retorico il ringraziamento che Meloni ha voluto rivolgere a Sergio Mattarella e a Mario Draghi, “che tanto a livello nazionale quanto internazionale ha offerto la sua massima disponibilità per garantire un passaggio di consegne veloce e sereno con il nuovo governo, nonostante, per ironia della sorte, fosse guidato dal presidente dell’unica forza politica di opposizione all’esecutivo da lui presieduto.

Si è molto ricamato su questo aspetto, ma io penso che non ci sia nulla di strano. Così dovrebbe sempre accadere, e così accade nelle grandi democrazie”. Ci sono alcune parole d’ordine, alcuni concetti che nell’esposizione di Giorgia Meloni vanno considerati come essenziali. Il primo è la libertà “perché non disturberemo chi vuole fare”; il secondo il pragmatismo (vero Bruxelles?) “che è il contrario dell’approccio ideologico”. Il nuovo governo rispetterà le regole europee ma non rinuncerà a far valere il suo punto di vista per cambiare quelle che ritiene sbagliate, a cominciare dal Moloch dell’austerity per finire al fiscal compact. Senza subalternità anche perché dell’Europa l’Italia è uno dei Paesi fondatori e scalzarla da quella posizione rappresenterebbe un assurdo.

E infine, ma non certo per ultimo, il coraggio “che non ci manca”. Compreso quello di modificare la forma istituzionale col passaggio al presidenzialismo, un modo per riavvicinare i cittadini alla politica riconsegnando loro un potere decisionale vero. Basta? Macché. Bisogna ricostruire una politica industriale efficace – e qui il pensiero di Meloni è andato ad Enrico Mattei… – perché è da lì che viene la ricchezza e la crescita. Mentre va abbandonata la logica dei bonus e dei sussidi a pioggia, compreso il reddito di cittadinanza. “L’ha detto anche Papa Francesco”, ha tagliato corto Meloni: giusto sostenere chi è più in difficoltà ma ancor più giusto è offrire una prospettiva di lavoro, perché è in quel modo che la dignità della persona si afferma e si fa strada. Nei confronti dell’Europa, come detto, nessuna subalternità e nessuna riottosità. Anche per quel che concerne il capitolo spinosissimo dell’immigrazione clandestina. “In Italia si può e si deve entrare solo regolarmente”, ha scandito Meloni, rilanciando il piano Sofia e l’impegno a bloccare le partenze dal suolo africano, tagliando le unghie agli scafisti e agli speculatori di anime.

L’elenco delle cose da fare, dei fronti su cui impegnarsi è lungo. Tuttavia ci sono caratteristiche fondamentali, identitarie appunto, del profilo del nuovo governo che Meloni ha voluto enfatizzare. “Libertà e democrazia sono gli elementi costitutivi della civiltà europea nei quali da sempre mi riconosco”. Vuol dire no ad ogni forma di razzismo e di autoritarismo, fascismo compreso e le forme di antifascismo militante che nei decenni passati hanno stroncato la vita di tanti giovani.

Quanto all’ambientalismo, “non c’è ecologista più convinto di un conservatore”. Eccolo il vademecum di Meloni. C’è consapevolezza dei problemi e temerarietà nel volerli affrontare e risolvere. C’è un’intera legislatura per provarci: “Il nostro obiettivo è consegnare agli italiani una Nazione migliore”. Da domani in poi bisognerà trasferire gli impegni e le ambizioni dal cielo delle volontà sulla terra delle scelte.


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