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Monsignor Alberto Perlasca

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Perlasca Giorgio è quel sant’uomo comasco ancorché laico che, durante la seconda guerra mondiale, fingendosi console spagnolo, salvò la vita di oltre cinquantamila ebrei. Ma qui, scusate, parliamo del Perlasca sbagliato.

Ossia di Alberto Perlasca, sempre un padanissimo comasco ma molto meno sant’uomo; uno che, nonostante di mestiere faccia il monsignore ha creato più casini lui in Vaticano che l’ultima invasione dei lanzichenecchi.

L’alto prelato, 59 anni, sorriso e pensieri smerigliati e un volto anonimo da Padre Brown (ma nella versione del telefilm inglese) per molti anni è stato a capo dell’ufficio amministrativo della Prima Sezione della Segreteria di Stato e braccio destro alla segreteria di Stato Angelo Becciu il cardinale al centro dello scandalo del palazzotto inglese ai Sloane Avenue acquistato per i noti 300 milioni.

Oggi Perlasca è l’uomo del mistero e, al tempo stesso, l’angelo caduto e la gola profonda dello scandalo che ha fatto mozzare la testa di mezza segreteria di Stato vaticana. Le sue imprese, che hanno fatto infuriare il Papa, sono narrate ottimamente nel libro-inchiesta “I mercanti nel tempio” (Solferino pp 258, euro 17) scritto dai giornalisti Mauro Gerevini e Fabrizio Massaro.

I quali forniscono particolari inediti su come il Vaticano sia riuscito a bruciare la metà del famoso “obolo di San Pietro”, ossia le offerte annuali dei fedeli, in uno sconcertante crescendo di sprechi e incompetenze che parte dall’impenetrabile “Sezione affari generali della Segreteria di Stato” guidata per anni dal cardinale Becciu e arriva fino al conto personale del Papa.

Perlasca è uno degli amministratori poco lungimiranti che ha contribuito a sperperare i 40 milioni dell’obolo. E oggi, assai pentito, Perlasca, in un accorato grido di giustizia, avrebbe descritto il suo ex superiore come “preponderante nella Segreteria di Stato”; gli ha, di fatto, scaricato addosso ogni responsabilità nello scandalo della Santa Sede.

Becciu, per Perlasca, avrebbe avuto buon gioco sin dall’inizio a conquistarsi la fiducia del personale della Segreteria di Stato con “il suo modo pacato e cortese di impartire gli ordini e la sua capacità di evitare scontri diretti”.

Il monsignore inoltre avrebbe raccontato dei rapporti di Becciu con i suoi fedelissimi, tra cui l’ex segretario monsignor Carlino, indagato per estorsione nell’ambito dell’inchiesta sul palazzo di Londra, con Fabrizio Tirabassi, all’epoca responsabile dell’ufficio amministrativo della Segreteria di Stato, a Enrico Crasso, che era il gestore delle finanze della Sds attraverso Sogenel Capital holding, e il broker Gian Luigi Torzi, arrestato e poi rilasciato nell’ambito della stessa inchiesta.

Una bella compagnia di galantuomini. Insomma, Perlasca, s’è trasformato in una sorta di Buscetta col turibolo. Insomma. Dal libro di Massaro e Gerevini emerge, attraverso la fragile figura del monsignore, lo stereotipo dell’amministratore vaticano-tipo: privo di competenze specifiche, facilone se non in malafede, sempre borderline tra l’interesse dell’anima e quello del portafoglio, in grado di affossare i bilanci con la stessa facilità con cui sgrana il rosario.

La parte più bella dell’inchiesta è quando due dei protagonisti che hanno appena beffato il Vaticano, festeggiano in un noto ristorante romano dal nome emblematico: I due ladroni…

(Da Facebook)


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