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Loredana Lipperini e Gianfranco Turano

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Purché se ne parli, diceva Oscar Wilde. Ben venga, dunque, anche la polemica social se per una volta un botta e risposta al vetriolo non si srotola sotto il solito post su vaccini o politica ma, a sorpresa, si parla di letteratura e pure “alta”.

È accaduto allo scrittore e giornalista reggino Gianfranco Turano (autore di saggi e opere narrative, l’ultimo dei quali “Salutiamo, amico”, edito da Giunti, racconta la Rivolta del ’70 tra storia e fiction), che condividendo una riflessione di Loredana Lipperini sull’abbassamento del livello culturale finisce per scontrarsi con lei.

Come sempre sui social, lo scontro scoppia sulle parole: per scatenare l’inferno, su un testo impeccabile ne basta una soltanto inopportuna, scorretta secondo netiquette o semplicemente colpevole di stuzzicare categorie e correnti di pensiero (consolidate o web-idiote che siano).

Tutto inizia quando Turano riposta sul suo profilo Facebook una considerazione in cui Lipperini, voce autorevole nella Repubblica delle Lettere, riferisce con amarezza della nuova richiesta socio-culturale di opere che gli utenti possano capire e non siano di difficile comprensione, ovvero troppo colte e intellettualmente elevate.

A commento del post, lo scrittore annuncia «to whom it may concern, che il mio prossimo libro alza l’asticella, per così dire». Poi Turano continua il dibattito con un altro post, in cui parte da quell’analisi della giornalista e conduttrice radiofonica per parlare della sua esperienza personale ed elencare alcune critiche ricevute nel tempo da editor, agenti e critici letterari sulle sue opere – evidentemente scritte troppo bene e dunque fuori dal trend denunciato da Lipperini. Lessico che obbliga ad usare il dizionario, pagine complesse sulle quali il lettore deve tornare indietro, rimando a eventi storici complessi o poco noti (forse anche la Rivolta di Reggio?) e, in sintesi, tanta fatica nella lettura sono i capi d’imputazione di Turano, che nel post li contesta uno per uno e conclude osservando che «tutto costa fatica, la differenza sta nel saldo, negativo o positivo, fra fatica e piacere».

Il gran finale del post però scivola sulla famosa parola che sui social è guerrafondaia e in questo caso riguarda le donne. Turano auspica infatti che in letteratura si vada «su con quest’asticella e basta pubblicare spazzatura per sartine contrabbandandola per letteratura». Espressione fatale se a leggerla è Lipperini, notoriamente molto suscettibile sulle tematiche femministe, che infatti replica: «Mi limito a detestare un poco quello spazzatura per sartine, eh. Ancora alla casalinga di Voghera siamo?»

Subito, a carretto, la claque della signora Lipperatura (nome del suo celebre blog) vira il tono dei commenti, sino ad allora di approvazione a Turano, verso il dissenso (“spocchioso”; “odioso e gratuito commento sessista”). E Lipperini aggiunge con il suo consueto aplomb che «l’ultima cosa che avrei mai voluto con quel post è innescare casi personali».

Parte poi un dibattito serrato tra i due sulla “letteratura per sartine”, dove L.L. vede un riferimento al target femminile e Turano rivendica la citazione da Guido da Verona che alla collega era sfuggita (ma lei lo liquida perché Guido da Verona non è Joyce) e la francese literature pour midinettes, con entrata a gamba tesa di un commentatore che evoca la cancel culture per epurare tradizione e storia dal sessismo.

L’apoteosi si raggiunge quando qualcuno insinua che Turano abbia voluto fare marketing per i suoi libri rimbalzando su una pagina Facebook da 35.000 followers (quella di Lipperini). Lo scrittore però stoppa le provocazioni con garbo: «Devo scrivere più post di letteratura, si scatena un dibattito micidiale».


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