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La festa scudetto dei calciatori del Napoli

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AVERE un gioiello e nasconderlo sotto terra. Quando il servo disse che il talento che gli era stato dato lo aveva nascosto bene per non farlo rubare il padrone non lo lodó ma, al contrario, lo biasimó. La parabola dei talenti è sicuramente illuminante per quanto riguarda l’incapacità di utilizzare al meglio le risorse disponibili. Sentite cosa dice il Vangelo: «Venuto infine colui che aveva ricevuto un solo talento, disse: Signore, per paura andai a nascondere il tuo talento sotterra; ecco qui il tuo. Il padrone gli rispose: servo malvagio e infingardo, avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi li sa far fruttare». Mi tornava in mente la parabola assistendo al grande spettacolo che Rai 2 ha trasmesso in diretta dallo stadio Maradona di Napoli domenica sera. Uno spettacolo in realtà molto familiare, senza ricchi premi e cotillons, senza troppe luci psichedeliche, ma permeato da un’anima incredibile.

IL GENIO DELLA LAMPADA

Come per incanto, appena la lampada di Napoli è stata strofinata, è uscito quel genio che, sempre presente, è però rimasto nascosto agli occhi di tutta l’Italia. Contrariamente al mondo che quel genio non lo ha mai trascurato, tanto da pensare che l’inno del Paese fosse “O’ Sole mio”. Naturalmente, la forza e la vitalità di Napoli, la sua identità forte, la sua tradizione canora, la sua lingua, tutta la sua ironia sono magicamente uscite fuori. Dopo 162 anni nel corso dei quali vi è stato un tentativo maldestro di mortificare la sua cultura e la sua popolazione.

Massimo Troisi, nel suo film “Ricomincio da tre” sottolineava con la sua ironia la sovrapposizione tra napoletano ed emigrante. Quasi che, per effetto di un destino cinico e baro, non vi fosse alcuna alternativa, nel nascere napoletano, se non quella di emigrare, come in realtà succede ormai da anni. Anche se fino al 1860 da Napoli non si emigrava. L’emigrazione italiana, infatti, è un fenomeno su larga scala finalizzato all’espatrio che ha riguardato dapprima l’Italia settentrionale e poi, dopo il 1880, anche il Mezzogiorno d’Italia.

Ma ormai sono 30.000 le persone che ogni anno fuggono dalla Campania in cerca di una possibilità lavorativa, con un costo per la Regione di sei miliardi di euro l’anno. Una regione che, come le altre del Mezzogiorno, appare destinata ad “allevare” i propri ragazzi per potere dare i migliori, quelli produttivi e selezionati, al ricco sistema economico alpino/padano che si nutre di quella linfa vitale che sottrae ogni anno a un Sud sempre più esanime, contemporaneamente rischiando, con la sua bulimia, una crisi di sovra alimentazione che comincia a evidenziare le prime negative conseguenze.

SE IL SUD VA MALE PERDE TUTTO IL PAESE

Purtroppo, però, non è solamente il Nord che paga le conseguenze di una mancata utilizzazione di tutto il territorio, perché è l’intero Paese che, nell’arco degli anni, sacrificando il Sud, ha perso se stesso, finendo per diventare il vagone di coda del treno europeo. Lo spettacolo sul palco e negli spalti di un popolo che trova la sua identità, la sua appartenenza, il suo orgoglio, è di quelli indimenticabili. Di una gente che vuole dimenticare di essere continuamente maltrattata, visto che la vulgata nazionale la considera una popolazione di nullafacenti e mandolinari, pizzaioli e usufruitori del reddito di cittadinanza, certamente molto poco inclini al lavoro, in genere gente che preferisce vivere attraverso espedienti e traffici malavitosi.

In realtà la vulgata accomuna tutto un Sud che è stato inondato di risorse e che se non è riuscito dopo 162 anni a svilupparsi ne ha tutta la responsabilità. Una vulgata che viene smentita da una vittoria in un campionato di calcio dominato da sempre da Milano e Torino, spesso anche con l’aiuto di arbitri compiacenti, squadre che poi puntualmente andavano a perdere nei campionati europei, con un’affermazione e con un margine di distacco sugli inseguitori che non ha consentito alcuna forma di recriminazione. E anche la Tv pubblica finalmente si è svegliata e ha dato il giusto spazio a una manifestazione che celebra il giorno del riscatto rispetto ai luoghi comuni prevalenti. E anche se si è dovuto assistere a un ulteriore schiaffo perché è stata data precedenza nei telegiornali nazionali all’addio di un calciatore, pur mitico, come Ibrahimovic dal Milan, alla fine il messaggio è passato. Le sensazioni, di quello che voleva essere solo uno spettacolo di celebrazione di una vittoria dello scudetto dopo ben 33 anni di attesa, hanno fatto emergere un pensiero diverso che forse sarebbe bene che tutto il Paese riuscisse a condividere.

E ritorniamo ai talenti: quelli che un Paese come il nostro ha avuto abbondantemente donati, molto più di quanti invece non ne abbiano avuti moltissimi altri Paesi europei e africani, che invece viaggiano a ritmi incredibili di sviluppo. Talenti che riguardano un capitale umano formato, e spesso lasciato inutilizzato, che per riuscire a trovare un progetto di vita deve fuggire da territori, amici, radici familiari. Di una realtà montana interna e costiera che, malgrado le proprie caratteristiche uniche di grande bellezza, va sempre più subendo un processo desertificazione. Beni culturali unici, che adesso sono un patrimonio dell’umanità e che, invece di essere protetti, spesso incredibilmente crollano, come è accaduto alla Zisa di Palermo, unico esempio di architettura araba normanna religiosa.

PUNTARE TUTTO SUL MEZZOGIORNO

Lo spettacolo dello stadio Maradona, così come il lungo mese di festeggiamenti che hanno attraversato tutta la Campania e tutto il Sud, è il segnale che, come diceva Luigi Pirandello, il treno ha fischiato. Ora nulla potrà essere più come prima. E la frase di Tabarelli, che dice che Milano deve crescere a costo che Napoli affondi, è uno svarione di una professionalità di livello, condizionato da una visione nordista che rischia di fare arretrare tutto il Paese. Perché, dopo l’unificazione politica del 1860, forse finalmente ci si deve porre il tema dell’unificazione economica, non per fare un favore ai “cialtroni“ meridionali, ma per far crescere finalmente a tassi di incremento consistenti tutta la Nazione. È l’unico sistema per far sì che i diritti di cittadinanza possano essere davvero uguali in tutte le aree senza mortificarne alcuna. Evitando quelle vie di fuga venete-lombarde-emiliane-romagnole che vedono invece in una visione egoistica, limitata e miope, il modo per riuscire a risolvere i loro problemi di tenuta del passo delle più veloci aree territoriali europee.

Capire che investire nelle realtà che hanno ancora una scarsa utilizzazione dei loro fattori della produzione è una soluzione importante per tutti è fondamentale. Convincersi che una Expo, invece che a Milano o a Roma, a Napoli potrebbe avere risvolti positivi per tutto il Paese di gran lunga maggiori, oppure pensare alle Olimpiadi estive da svolgere a Napoli o nell’area dello Stretto con il ponte di Messina costruito può essere un modo per valorizzare territori che, come si è abbondantemente visto nell’ultimo periodo, hanno tanto da offrire, significa riuscire a sviluppare un pensiero non banale, non solito, non scontato che prevede una locomotiva che arranca e che perde colpi e dei vagoni fermi in un binario morto.


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