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Giancarlo Giannini e Lina Wertmuller

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Sangue basilisco, sguardo meridionale, fama e riconoscimento internazionale (prima donna candidata all’Oscar e Oscar alla carriera), tempra da cinematografara romana (ci dava con il linguaggio romanesco a sferzare le maestranze della capitale), una regista colonna del cinema italiano che spesso non ha ricevuto il rispetto critico che le si doveva in vita.

Lina Wertmuller è morta all’età di 93 anni. Ha molto contribuito nel modificare il cinema del Novecento, prima donna regista italiana ad imporsi in un mondo maschile e maschilista.

All’anagrafe si chiamava Arcangela Felice Assunta Wertmüller Von Elggspand Von Braucich, quasi a parafrasare quel marchio di fabbrica di molti titoli dei suoi film chilometrici e wertmulleriani per antonomasia, girati con gli occhialetti che aveva sempre sul naso a testimoniare un altro suo sigillo personale che ha sempre accompagnato uno stile registico molto originale.

Ha sempre scritto bene Lina, fin da giovane quando si cimentava con i copioni di Canzonissima. Galeotta fu la sua amica, Flora Carabella, moglie di Marcello Mastroianni, a presentarla a Federico Fellini e a darle l’opportunità di diventare aiuto del grande regista ne “La Dolce vita”, raro caso per il cinema dell’epoca.

L’esordio nel cinema di Lina è travolgente. “I basilischi” racconta l’immobilismo (si ipotizzò d’intitolarlo “Oblomov”) del Meridione interno di mezzo secolo fa. Il film non amato da tutti i lucani (per il dialetto pugliese e una certa visione nordista) si apre con un ordinario pranzo quotidiano prima della controra in cui tutti andranno a dormire. La carrellata morbida mostra le diverse bottiglie di vino sul tavolo nella silenziosa scena che scopre la tipica famiglia del ” Si vuo’ campà a luongo, mangia, vivi e ruormi”.

“I basilischi” nasce per caso. Lina Wertmuller, ha fatto da poco l’aiuto della “Dolce vita” ed ha conosciuto Tullio Kezich e insieme vanno in Sicilia sul set di Salvatore Giuliano di Francesco Rosi. Galeotta fu la sosta a Palazzo San Gervasio, paese originario di Lina, per far scoccare la scintilla di Kezich nel proporre la nascita del fortunato esordio wertmulleriano subito ben acclamato al festival di Locarno.

Si racconta che Lina scrisse il copione in una notte. Una sceneggiatura perfetta che cita anche Giustino Fortunato nel finale. E a quel tempo una buona idea diventava un film a basso costo di gran qualità. Girato tra Puglia e Basilicata; Minervino Murge, Spinazzola e Palazzo San Gervasio le location che con orgoglio ne rivendicano le genesi.

“I basilischi” prende il nome da certi lumaconi sempre fermi al sole, che daranno un neologismo lucano che ha persino ribattezzato la poco conosciuta mafia locale.

Con la sua brillante carriera Lina Wertmuller, figlia di un aristocratico professionista svizzero-tedesco, è diventata personaggio identitario lucano, spesso omaggiata dalla Basilicata e dalle sue istituzioni pubbliche e cinematografiche con affetto molto ricambiato in manifestazioni celebrative in ogni dove.

Romanissima per nascita e formazione ma molto coinvolta in un meridionalismo grottesco e audace. La Sicilia del Mimì Metallurgico rappresentata a Sud e Nord, lo scontro di classe tra la milanese capitalista e il siciliano comunista in splendidi luoghi della Sardegna, luogo molto amato per le vacanze da Lina Wertmuller, che non disdegnava di frequentare. Ma era anche solita trovare riposo a Ravello complice il suo amico antropologo De Masi, o a Scario dal senatore Lino Jannuzzi, ma anche a Sangineto in Calabria ospite di Giacomo Mancini.

Lina è stata un’intellettuale di area socialista (ha fatto parte dell’assemblea nazionale su designazione di Craxi) con spirito libertario e femminista. Trasformò Rita Pavone in Gian Burrasca in televisione e non esitò a salire sui palchi della campagna referendaria a favore del divorzio nel 1974. Tentò anche una riflessione ironica sulla tragedia del terrorismo con il film “Scherzo del destino in agguato dietro l’angolo come un brigante di strada” ma negli anni Ottanta non si sapeva ancora scherzare sulla lotta armata italiana.

È stata sorella più che amica di Piera Degli Esposti, sodale di Sophia Loren, Giancarlo Giannini e Mariangela Melato diventarono celebri negli Stati Uniti grazie ai suoi film. Ha diretto Paolo Villaggio in “Io speriamo che che me la cavo” fortunata trasposizione del best seller di Marcello D’Orta.

E l’anno prossimo un documentario “Noi che ce la siamo cavata” con gli ex bambini protagonisti del film celebreranno i vent’anni del film grazie ad Adriano Pantaleo, il protagonista, il regista lucano Giuseppe Marco Albano e l’allora esordiente sceneggiatore Andrej Longo che collaborò con la mitica coppia Benvenuti e De Bernardi.

Un rapporto intenso con Napoli a partire da “Pasqualino Settebellezze” e continuato con molti film e una serie che le sono valse anche una cittadinanza onoraria da parte della municipalità partenopea.

Ha realizzato opere liriche, ha lavorato per la televisione, è sempre stata autentica e vera nella sua estetica filmica. Dotata di enorme talento. Una grande donna italiana. Magnificamente travolta da un insolito destino: Lina Wertmuller.


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