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Jacobs, Tortu, Patta e Desalu: la 4x100 d'oro a Tokyo

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QUESTI Giochi Olimpici fantastici e che, da italiani, vorremmo non finissero mai, sono finiti invece oggi con la cosiddetta cerimonia di chiusura, nella quale il tricolore è stato affidato a Marcell Jacobs, che in un pugno di secondi ha vinto due medaglie d’oro e portato a compimento anni di fatica mentale e fisica, mentre la bandiera olimpica sarà consegnata ad Anne Hidalgo, la sindaca di Parigi: la sindaca di Roma, Virginia Raggi, non volle neppure che ci presentassimo ai blocchi di partenza per concorrere all’assegnazione, per la quale avevamo splendide carte.

Peccato. E almeno fino al 2036, dopo che sarà passato il turno di Los Angeles 2028 e di Brisbane 2032 e che avremo vissuto altri Giochi a orario contrario, non se ne parla.

Ancora peccato, specie a guardare a quanto entusiasmo, interesse, felicità, fiducia nell’Italia e nel futuro, hanno saputo suscitare le Olimpiadi di Tokyo. Ci hanno tolto il sonno, per l’intrigo dei fusi orari, ma ci hanno regalato sogni: sogni d’oro. Alla fine si contano le medaglie, e si pesano: tutti i metalli in doppia cifra, un totale da record per l’Italia dello sport che è ancora e sempre ai vertici del settore, giacché davanti ha la Cina, gli Stati Uniti, il Giappone, la Russia, la Gran Bretagna, l’Australia cioè i giganti del mondo, sportivo e no, i padroni di casa che tradizionalmente sfruttano sempre il fattore campo, la Gran Bretagna che ha quattro nazioni e che ha ben utilizzato per il suo rilancio sportivo Londra 2012 ed ha ancora l’onda giusta (pare la Banti e Tita, i nostri velisti d’oro) e l’Australia che da sola “fa continente o quasi”.

La regina è tornata sul trono: alludiamo all’atletica, che è considerata la regina degli sport e che caratterizza con i suoi campioni le Olimpiadi: da sempre. L’Italia, con Jacobs e i suoi fratelli (Lorenzo Patta, Fausto Desalu e Filippo Tortu) ha fatto la figura della Giamaica di Usain Bolt, ma hanno ragione i quattro ragazzi quando, con orgoglio, dicono “non siamo la nuova Giamaica, noi siamo l’Italia”. L’Italia che va veloce e fatica, anche come hanno mostrato i marciatori pugliesi (a proposito: la Puglia da sola sarebbe tra i primi trenta del medagliere), che vuole saltare sempre più su alla Tamberi.

L’Italia che, nell’atletica, porta casa cinque medaglie d’oro (salvo code notturne) il che non era mai successo, neppure ai “tiempe belle ‘e ‘na vòta”, quelli di Simeoni, Mennea e Damilano, oppure Andrei, Cova, Dorio. Certo, quel che luccica, al contrario del proverbio, è tutto oro. Ma poi ci sono discipline che non hanno lasciato il segno, nemmeno quello di Zorro nella scherma, o che non hanno fatto centro come il tiro.

Ma quel che è piaciuto di questi campioni, uomini e donne, ragazzi e ragazze, è la loro spontanea normalità nell’essere eccezionali; storie ingarbugliate come quelle della gente comune, o storie comuni come quelle della gente ingarbugliata. Spesso una famiglia alle spalle, spesso buoni studi finiti o in corso.

Erano Giochi strampalati: condizionati dal virus che ha dato fiato ai “no olympics” che sempre ci sono e pontificano dal divano; passati senza pubblico ma il calore e il colore gli atleti se li sono dati da soli; trascorsi nelle contraddizioni del mondo quotidiano: l’inclusione come necessità e anche come vantaggio per tutti, ma anche le solite barriere di discriminazione; il mondo che protesta per i diritti, Hong Kong che fischia l’inno cinese e le cinesi retrò che sul podio indossano la spilletta di Mao; chi si inginocchia e chi dà dei cammellieri agli atleti d’Africa; Trump che spiega la sconfitta delle calciatrici addebitandola al loro essere “attiviste di sinistra”.

Piccoli grandi gesti in queste Olimpiadi molto Tik Tok, nel segno dei social, e un po’ meno televisive del solito, almeno a giudicare dai dati americani. Ma chissà lo streaming, chissà i tablet, chissà gli highlights, che sono il nuovo mondo dei giovani, che le lunghe cronache non le reggono più.

Ce n’è di spunti in questi Giochi agli sgoccioli: gli sport nuovi che fanno l’occhiolino agli utenti nuovi, adolescenti da podio ma anche maturi (nello skate ha concorso anche un 46enne); gli azzurri della quinta volta, come Aldo Montano e Federica Pellegrini, che lascia la vasca ma raddoppia l’impegno lavorando all’interno del Cio, e dice che penserà specialmente agli atleti, alla loro salute mentale, la preoccupazione per la quale è stata una cifra di questi Giochi, il Covid ci ha messo la coda.

Gli sport di squadra andati per l’Italia non entusiasticamente (ma il basket ai quarti è un’indicazione per il futuro), il nuoto che ha preso medaglie, fantastiche le staffette, pure se gli è mancato l’oro (gli ori?) di Gregorio Paltrinieri, che non vuole essere trattato da supereroe, ma lo è. E poi, “bravi tutti”, come si diceva una volta. Il Coni di Giovanni Malagò può ben gloriarsi dei risultati azzurri: voleva far meglio di Rio e l’ha fatto; sono sbucati medagliati inattesi al grande pubblico, il quale spesso pensa, forse troppo, al calcio. Coni vuol dire Comitato Olimpico Nazionale Italiano, il suo “core business” sono dunque le Olimpiadi. Finora ha fatto molto più di questo. Perché alle Olimpiadi non si va d’improvviso e meno ancora si vince improvvisando.

Lo sport ha tutelato anche dal Covid i suoi vertici: ma la base? Giochi come quelli diTokyo potrebbero non tornare, se non si va nella scuola, se non si aiutano le società sportive eccetera eccetera, tutte cose che molti sanno ma che non dipendono da Jacobs e dai suoi fratelli di azzurro. Loro, Marcell e gli altri, hanno fatto più del previsto. Ora faccia chi deve. Perché, purtroppo, i Giochi che non dovrebbero finire mai, finiscono oggi.


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