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Luis Suarez ai tempi in cui era dirigente e osservatore per l'Inter

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ROMA – “Il calciatore perfetto che, con il suo talento, ha ispirato generazioni. Ciao, Luisito”. Così l’Inter ricorda sui social la sua ex stella Luisito Suarez, scomparso questa mattina a 88 anni dopo una breve malattia e vincitore in nerazzurro di tre scudetti, due Coppe dei Campioni e due Coppe Intercontinentali in 333 partite giocate condite da 55 gol segnati.

Prima di sbarcare a Milano, Suarez era stato una colonna del Barcellona: 176 partite con 80 reti tra il 1954 e il 1961. L’anno in cui fu comprato da Angelo Moratti, su insistente richiesta di Helenio Herrera, l’Inter sborsò 300 milioni di lire che il Barça investì per ristrutturare il Camp Nou. Lui si presentò col Pallone d’Oro appena vinto e un palmares che contava la vittoria di due volte la Liga, due volta la Coppa Nazionale e due volte la Coppa delle Fiere, progenitrice della Coppa Uefa e l’Europeo del 1964 con la nazionale spagnola.

In maglia nerazzurra Suarez venne trasformato nel secondo anno della gestione Herrera, il celebre Mago, in regista davanti alla difesa. Era dotato di grande tecnica, ottima mobilità e riusciva a pescare con lanci millimetrici da quaranta-cinquanta metri, le due frecce offensive, Jair e Sandro Mazzola, che scattavano nella metà campo altrui.

Conclusa la carriera da calciatore, iniziò quella di allenatore ma non fu altrettanto fortunato. La maggiore soddisfazione fu il titolo di campione d’Europa Under 21 vinto ai rigori sull’Italia nel 1986 con la Spagna. Guidò anche la nazionale maggiore ai Mondiali del 1990 ma fu eliminato agli ottavi. L’Inter lo chiamò in panchina nel 1974-75 al posto dell’esonerato Enea Masiero ma la squadra finì nona. Venne chiamato altre due volte da Massimo Moratti, nel 1992 e nel 1995 per due brevi esperienze. Moratti però lo inserì tra gli osservatori di fiducia e pare che fu proprio lui a segnalare Zamorano e Recoba alla dirigenza nerazzura.

Dal Duemila in poi per Suarez si apre una nuova carriera, quella dell’opinionista televisivo e grazie all’eloquio disinvolto era capace di sdrammatizzare le situazioni più delicate e le critiche più aspre con folgoranti battute di spirito. Lascia di sé l’immagine di un gran signore, una persona semplice, disponibile, sempre pronto a regalare frasi scherzose, leggere. Rimarrà nella storia del calcio come uno dei più grandi giocatori degli anni Sessanta.


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