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Maureen Connolly

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Maureen Connolly, che forse è stata la più grande tennista di sempre e comunque la prima donna a riuscire nel Grande Slam, l’impresa di vincere i quattro più importanti tornei del mondo nella stessa annata, voleva “darsi all’ippica” e diventare una amazzone. Ma nella casa di San Diego, in California. dove il papà l’aveva abbandonata a quattro anni scomparendo nel nulla mentre la bambina era a letto malata (“Vado a prenderti un gelato al cioccolato” le aveva promesso, era uscito e non era tornato più) e la mamma doveva stare attenta ai cents, non c’erano soldi per potersi permettere le lezioni di equitazione, figurarsi la proprietà di un cavallo. E dunque fu tennis.

Per questo bastavano una racchetta da un dollaro e mezzo, qualche pallina che a quei tempi non televisivi erano ancora bianche (il giallo fluò fu suggerito, si narra, da Sir David Attenborough per una migliore visibilità e perfino Wimbledon, il tempio del tennis e del candor bianco vi si è convertito fin dal 1986, unica concessione cromatica del torneo che proibì perfino un tipo di scarpe a Federer perché avevano la suola rossa, in stile Louboutin) e un muro per avversario. E Maureen il tennis preferiva per consolarsi del mancato cavallo, altro che la tastiera del pianoforte cui la mamma ballerina voleva incollarla.

Però quando vinse il Grande Slam (era il 1953 e non aveva ancora compiuto 19 anni: nei quattro tornei, Australia, Roland Garros, Wimbledon e Us Open, perse un solo set) e i concittadini le regalarono un cavallo in carne e ossa, che lei chiamò Colonel Merryboy, toccò il cielo con un dito. Maureen Connolly era già “Little Mo”. Perché aveva una serie di colpi che ricordavano, ai fantasiosi cronisti, quelli di “Big Mo”, la corazzata “Missouri” che era una leggenda della US Navy, aveva cannoneggiato il Giappone (anche nella battaglia di Iwo Jima) e sul suo ponte, nella baia di Tokyo, i signori della guerra avevano firmato la resa nipponica; in più, proprio negli anni favolosi di Maureen, era l’ammiraglia americana durante la guerra di Corea. Dopo quasi quarant’anni di pacifica navigazione Big Mo sarebbe tornata in azione per “Desert Storm”, il nome in codice della prima guerra del Golfo e, prima del disarmo, e dell’attracco definitivo nella baia di Pearl Harbor dove è divenuta museo della US Navy, sarebbe stata anche set cinematografico di film di guerra e scenario di numerosi videogiochi.

L’adolescente Maureen Connolly si allenava famelica: “Tutto quello che mi serve è una racchetta per mettere a posto tutti i ragazzini di San Diego”, aveva proclamato a dieci anni, Fu accontentata, A 14 anni aveva già vinto 56 tornei consecutivi, anche se il primo cui partecipò finì con una sconfitta: “Mai più”, promise e si promise, sciorinando quella che sarebbe stata la sua fondamentale caratteristica sul court d’ogni materia: la rabbia agonistica, l’”odio” verso le avversarie, che non divennero da battere ma da abbattere.

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In questa crociata trovò una formidabile sponda nella sua maestra, Eleanor Tennant. Costei non era soltanto la prima donna divenuta professionista nel tennis agonistico: era anche il coach di campioni, fra i quali Alice Marble, vincitrice di 19 tornei dello slam (cinque in singolare) alla fine degli Anni Trenta del Novecento e la donna che smise il tennis delle “pallettare” che giocavano solo da fondo campo, e Bobby Riggs, che divenne, tra il 1941 e il 1948, numero uno mondiale, sia da dilettante che da professionista, e che, 55enne, rinverdì la propria fama e rimpinguò il proprio conto in banca quando dichiarò che il tennis femminile era di un livello talmente basso che anche lui, maschio in età avanzata, avrebbe sconfitto la numero uno delle ragazze. La sua sfida fu presa in parola e Bobby Riggs divenne l’antagonista nella “battaglia dei sessi” come vennero chiamati gli incontri che lo videro opposto una volta a Margaret Court, battendola, e un’altra a Billie Jean King, perdendo.

Eleanor Tennant fu anche la maestra di celebrità di Hollywood, come Groucho Marx, Bing Crosby, Charlie Chaplin, Clark Gable e Carol Lombard (i “Brangelina” di quei tempi), la coppia che le appioppò il nomignolo con cui divenne nota al mondo del tennis, “Teach”, come dire “Prof”. Per antonomasia. “Teach” sapeva come “caricare” la ragazza: “Sai cosa dice di te Doris Hart? Che sei una mocciosa viziata” le suggerì prima della semifinale degli US Open. “Little Mo” disse poi di non aver mai odiato né un’avversaria né nessuna persona quanto Doris quel giorno: scese in campo e la distrusse. E prolungò la scia dell’odio fino alla finale, nella quale ebbe di fronte Shoreen Fry, che era la miglior amica di Doris: la Connolly le riservò lo stesso odio e lo stesso trattamento.

Era il 1951: Maureen Connolly aveva 16 anni, la più giovane vincitrice di sempre agli US Open. Mantenne quella ferocia alla Agassi (padre? figlio?) per tutto il 1952. Il 1953 fu l’anno del Grande Slam ed esercitò la sua ferocia anche contro la Tennant. Aveva male a una spalla e “Teach” le ordinò di ritirarsi a Winbledon. Maureen convocò subito una conferenza stampa e annunciò semplicemente “la signora Tennant non mi rappresenta più”: le due donne non si rivolsero mai più la parola.

Saltò l’Australian Open nel 1954, ma vinse ancora Roland Garros e Wimbledon, nove slam consecutivi, una striscia di 50 vittorie. Era il 20 luglio 1954 quando con due amiche uscirono per una cavalcata. Era felice con Colonel Merryboy. D’improvviso sbucò una betoniera, il cavallo s’imbizzarrì, “Little Mo” cadde sotto la ruota del mezzo pesante: la gamba era frantumata. Quando si risvegliò in ospedale dopo l’intervento chirurgico vide un uomo vestito di grigio con un gelato al cioccolato in mano ai piedi del letto: era il papà.

Ma il tennis per lei era cosa del passato: sposò un cavallerizzo, ebbe due figli. A 34 anni morì di cancro, povera grande “Little Mo”.


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