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Il centro siderurgico dell'Ilva di Taranto

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BISOGNA dare atto al governo Draghi di aver redatto un Recovery Plan davvero difendibile a livello comunitario. Bisogna dare atto al governo Draghi di aver finalmente attivato il difficile processo di riforma della giustizia. Bisogna dare atto al governo Draghi di aver velocizzato in modo sostanziale e apprezzabile la difficile e complessa vaccinazione dell’intero Paese.

Bisogna dare atto al governo Draghi di aver avviato concretamente e in modo organico la riforma della Pubblica amministrazione. Ebbene, questa serie di risultati positivi e questi oggettivi apprezzamenti nei confronti del presidente Draghi trova un difficile  momento critico; trova un rischioso momento in cui potrebbe crollare questo misurabile e inattaccabile elenco di attività positive. Il rischio di questa possibile inversione di tendenza ha un nome: mi riferisco all’emergenza Taranto.

FARSA ULTIMO ATTO

Da cinque anni (ripeto: da cinque anni) quattro governi (Renzi, Gentiloni, Conte I e Conte II) hanno dato vita a una delle farse più pericolose vissute dal Paese dal dopoguerra a oggi. Una farsa ricca di attori, come i ministri Calenda, Di Maio, Patuanelli o come il presidente Emiliano e lo schieramento politico formato dal Partito democratico e dal Movimento 5 Stelle a livello regionale, come la società Arcelor Mittal e il presidente Bernabè nel ruolo di gestori dell’impianto.

Questa farsa, in questi giorni, si è arricchita di un ultimo tassello davvero kafkiano che riporto di seguito cercando in tutti i modi di raccontare quanto deciso con la massima linearità, convinto che sia davvero difficile comprendere quello che è successo in questi lunghi cinque anni e quello che sta succedendo in queste ore. In particolare abbiamo appreso il 20 agosto che: «La messa fuori produzione della batteria n° 12 delle Cokerie dello stabilimento ex Ilva di Taranto ora Acciaierie di Italia dovrà avvenire nei tempi tecnici strettamente necessari e comunque non superiori a 60 giorni a partire dal primo luglio 2021»: questo è quanto prevede il decreto del ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani, pubblicato giovedì 19 agosto sulla Gazzetta ufficiale.  

In proposito è utile ricordare che Acciaierie d’Italia avrebbe dovuto adeguare alle prescrizioni ambientali dell’Autorizzazione integrata ambientale (Aia) la batteria 12 entro il 30 giugno scorso. L’Azienda aveva chiesto al ministero una proroga anche a causa del blocco lavori dovuto al Covid, ma il ministero aveva confermato la data di termine lavori e disposto il fermo della batteria in difetto di adempimento entro i successivi dieci giorni. Il Tar del Lazio, esprimendosi sul ricorso di Acciaierie d’Italia, aveva successivamente  invitato il ministero a riesaminare le sue decisioni, fissando l’udienza di merito a novembre prossimo.

SINDACATO ASSENTE  

Nel nuovo decreto, il ministero prende atto che secondo l’Ispra «non è possibile percorrere soluzioni tecniche alternative a quella proposta dal gestore con tempistiche inferiori a quelle già rappresentate nei mesi scorsi. Tuttavia il gestore resta l’unico responsabile degli eventuali danni all’ambiente o alla salute in conseguenza della tempistica necessaria alla messa fuori produzione della batteria numero 12 oltre il termine del 30 giugno 2020».

Questo comporterà un’ulteriore riduzione dei livelli di produzione e un ancor più preoccupante ricorso alla Cassa integrazione. In realtà il più grande centro siderurgico d’Europa si avvia, nel migliore dei casi, verso una soglia di produzione di 3 milioni di tonnellate di acciaio e un livello di occupati di poco superiore alle 3.000 unità. In questo modo Taranto si avvia a essere nel breve periodo una Piombino del Sud.

Più volte nei vari miei blog, nelle “Stanze di Ercole”, ho ribadito il mio sconcerto per l’assenza completa del sindacato. Mai in passato, nella storia delle rimostranze sindacali, abbiamo trovato una simile azione mirata a temporeggiare, a rinviare, a illudersi che il fattore “tempo” potesse risolvere una vera tragedia sociale.

CONGIURA DEL SILENZIO

In questo elenco di attori di questa triste farsa del Sud ho appena fatto accenno al presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano: ho evitato di parlarne perché più che di farsa sarei stato costretto a parlare di tragedia. Non chiedo, infatti, cosa abbia fatto e cosa stia facendo il presidente per evitare una crisi sociale gravissima e cosa proponga per evitare e ridimensionare un simile evento. Una bomba sociale che, come ho avuto modo di ribadire più volte, si riverserà sull’intera Regione.

Sono sicuro che il presidente Emiliano rivendicherà il suo grande interessamento alla decarbonizzazione, il suo convinto impegno ad abbandonare il carbone; finora, però, disponiamo solo di annunci e  dichiarazioni nei convegni in cui ha ribadito più volte: «Io sono il presidente della Regione Puglia e devo rispettare il programma della Regione Puglia. Ma mi sono reso conto che Renzi, Calenda, Di Maio sono tutti sulla stessa linea, un muro contro cui i tarantini si stanno scontrando. La Puglia, e io che sono il presidente, ha avuto dall’Unione europea e da tutte le regioni l’incarico di scrivere il parere sul clima. Ovvero sulla legge europea sul clima. Invece in Italia la Puglia non viene neppure convocata. Ed è una cosa incredibile, sto tentando di rompere questa congiura del silenzio».  

A questa congiura del silenzio, però, finora la Regione non ha reagito prospettando una linea strategica da adottare di fronte all’obbligato ridimensionamento del centro siderurgico. Ma Emiliano ha anche detto, in questa serie di convegni locali: «Il carbone va eliminato, la copertura dei parchi minerari non sarà sufficiente. È possibile perfino un’evoluzione, i forni elettrici, che consentono la decarbonizzazione e che sono brevetti italiani, potrebbero essere sostituiti da forni a idrogeno riducendo ulteriormente le emissioni e senza dover più bruciare combustibili fossili, avendo così un bilancio di CO2 più favorevole».  

E anche in questa dichiarazione un chiaro rinvio al futuro, un chiaro ricorso a soluzioni possibili, ma che richiedono tempo, e una sostanziale reinvenzione dell’intero impianto. Intanto non riscontriamo mai, dico mai, un’immediata azione di riassetto funzionale della componente occupazionale, mai un riferimento a possibili processi di riconversione produttiva, mai a proposte che dovrebbero partire proprio dalla intuizione programmatica della Regione.

COSA FARÀ  IL PREMIER

Il presidente Draghi non credo accetti questo irresponsabile comportamento di tutti gli attori direttamente e indirettamente coinvolti. Non credo possa accettare che non ci siano immediate risposte ma, soprattutto, non ci sia un cambiamento sostanziale delle folli e ridicole strategie con cui si è finora affrontato e non risolto questo vero dramma politico, istituzionale e sociale; un dramma che, anno dopo anno, sta distruggendo una delle tessere chiave dell’economia pugliese e dell’intero Mezzogiorno.

Il presidente Draghi, sono sicuro, porrà la parola fine a questa assurda, ripeto fino alla noia, farsa e se necessario farà ricorso a provvedimenti capaci di reinventare integralmente tutto ciò che finora non si è fatto o si è fatto male. Draghi non può fallire proprio su un’azione che porterebbe l’intera Regione Puglia, e in particolare la vasta area salentina, in una condizione di grave ingestibilità; non può fallire su un’azione che oggi è nelle mani dello Stato (Arcelor Mittal a mio avviso è ormai fuori dalla gestione), su un’azione che è nelle mani di un presidente, Franco Bernabè, stimato e apprezzato dallo stesso presidente Draghi.


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