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Una immagine della distilleria Caffo

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Il Vecchio Amaro del Capo si mangia  il padre degli amari, ricordato per quella pubblicità un po’ perentoria dell’«Amarissimo che fa benissimo». Erano gli anni Settanta e, nello spot in bianco e nero che andava in onda su Carosello, una mano in armatura, appoggiava la bottiglia su un tavolo, dimostrando forza e coraggio. Da qualche giorno quell’amaro olandese, il Petrus Boonekamp, è stato acquisito dal gruppo calabrese Caffo 1915.

LEGGI LA NOTIZIA DELL’ACQUSIZIONE DEL MARCHIO PETRUS DA PARTE DI CAFFO

In un momento in cui i paesi della Lega Anseatica, con l’Olanda in testa, ci considerano gli appestati economici da tenere a bada, questa acquisizione sa tanto del Davide che sconfigge Golia. E ancor di più perché si parte dalla Calabria, da un piccolo paesino Limbaldi in provincia di Vibo Valentia di 3500 abitanti. Malgrado la ndrangheta, malgrado l’isolamento infrastrutturale, capitani coraggiosi come Caffo, o come un altro nel settore editoriale come Rubbettino, dimostrano che si può se si vuole e che la realtà meridionale può diventare una nuova frontiera del manifatturiero.

Dopo il fallimento dei capitani paurosi brianzoli, tutti concentrati in pochi chilometri quadrati, in una visione marco germanica, mai con il coraggio di trasferire le loro produzioni anche nell’altra parte del Paese è una bella lezione. Quei capitani paurosi che hanno preferito restare nell’orticello di casa, senza pensare all’esodo umano che la loro azione avrebbe comportato, che si è evidenziato nei rientri precipitosi di migliaia di meridionali non appena si è manifestata l’infezione che ha chiuso per la pestilenza una realtà inquinata.

Facendo poi costruire le terze e quarte corsie autostradali per alimentare una bulimia, che si è dimostrata mortale, che prevedeva sempre più imprese concentrate, sempre più reddito elevato, sempre più risorse da estrarre dal bilancio dello Stato, sempre più inquinamento, con la copertura e l’alibi della spesa storica ed una forza politica che costruiva sull’egoismo provinciale la chiave di volta del proprio successo. Mentre le forze politiche nazionali non si opponevano anzi la inseguivano su un terreno di una supposta questione settentrionale, quasi ridicola in un Paese duale, nel quale una parte veniva abbandonata e mortificata.

Preferendo magari trasferimenti di aziende nell’Est europeo o nella lontana Cina, e pensando a possibili insediamenti nel Meridione solo quando i vantaggi si sarebbero dimostrati tali da non poter perdere di arraffare qualcosa, pronti a rientrare, lasciando il vuoto di capannoni abbandonati, non appena finiva la possibilità di accedere a forme di aiuti, mai ponendosi anche un problema etico dell’importante ruolo dell’imprenditore.

Caffo è la metafora dell’esigenza di fare da soli, sfruttando quelle doti di inventiva, di coraggio, di innovazione che sempre hanno contraddistinto le eccellenze del Sud. Gli esempi dei capitani coraggiosi ci deve convincere sempre di più che é possibile fare impresa anche al Sud e che quindi è possibile attrarre investimenti dall’esterno dell’area e che l’idea delle zone economiche speciali, se ben attuata, può essere la chiave di volta per impiegare quella grande forza lavoro oggi inutilizzata e dispersa nei NEET o in quei giovani che ogni anno non possono fare altro che abbandonare per sempre le aree di origine, creando problemi alla realtà di provenienza, che si vede impoverire del suo capitale umano e perdere risorse importanti di giovani formati che hanno avuto un costo per il Mezzogiorno pari a circa 20 miliardi l’anno, come bene ci ricorda Svimez. Ma anche alle realtà di destinazione, costrette a moltiplicare i servizi per un aumento di popolazione che non accenna a diminuire.  Sapremo approfittare di questo evento per cambiare il nostro modello di sviluppo o non appena passata la tempesta ci rimetteremo sulla strada che ci ha portato nell’abisso?

E non sarebbe opportuno approfittare dei provvedimenti a pioggia che stanno per arrivare, sperando che riescano a superare le forche caudine della burocrazia, per indirizzarli in modo da favorire un trasferimento di realtà produttive magari presso le costituende Zes? Visto che il problema persisterà per i prossimi anni forse utilizzare un territorio meno inquinato nel quale si è visto che il contagio è meno facile ed il controllo più semplice può essere un modo per cambiare strada. Potrebbe essere proprio questa l’occasione per un pensiero orizzontale e per il cambiamento dei parametri di riferimento finora seguiti. Sarebbe una rivoluzione che potrebbe fare bene a tutto il Paese, anche se mi rendo conto che è più facile che si ricominci con la logica di sempre, con la locomotiva da far ripartire, con la Milano caput mundi e con Napoli marginale.

Prigionieri di pregiudizi diffusi e logiche supportati dalla classe dirigente nazionale, ben lontana dal pensare a schemi diversi da quelli finora seguiti. Invece riaprire velocemente il Sud, riaprire i cantieri visto che in tali aree è possibile, ribaltare le logiche e fare in modo che la locomotiva possa essere l’unica che immediatamente si può fare rimettere in moto sarebbe una rivoluzione.


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