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di PAOLO VERRI

L’altro ieri, per raccontare il caso Matera, sono stato invitato a Torino, la città dove sono nato, ho diretto il Salone del Libro, il piano strategico, il progetto per il 150° dell’unità d’Italia e da dove sono stato mandato via proprio perché chiedevo più unità nazionale ed europea. È con una certa coscienza di errore (visti i danni fatti dai suoi avi) che un sabaudo affronta la possibilità di dialogare con decine di persone qualificate del sud sui modelli di sviluppo legati alla cultura. Il sud d’Italia, e il Mediterraneo in generale, sono davvero la culla della civiltà mondiale; ecco perché ho accettato come fosse una nuova piccola sfida la richiesta del direttore di questo quotidiano di commentare l’affermazione “la cultura può / deve essere il nuovo oro del sud”.

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Il caso Matera è frutto di un cambiamento di lungo periodo che ha trovato finalmente un obiettivo concreto, quello della candidatura a capitale europea della cultura, che ha saputo raggiungere  grazie ad una serie di fattori contingenti non da poco: l’assoluta indipendenza dalla politica locale (grazie ad un sindaco, Salvatore Adduce, che la garantiva in maniera totale); la presenza di dirigenti e dipendenti regionali e comunali di grande valore, quali Rossella Tarantino e Serafino Paternoster) messi al comando del processo con la possibilità di crescere e di diventare protagonisti dello stesso; la lungimiranza di una classe di imprenditori privati medio piccoli ad utilizzare l’occasione per veicolare le proprie eccellenze e farle diventare esemplari (è il caso di Saverio Calia, imprenditore nel settore dei salotti; di Pietro Di Leo, titolare di un importante biscottificio; di Pasquale Lo Russo, presidente di Confindustria Basilicata che con la sua Bawer ha raddoppiato fatturato e presenza in metri quadri puntando oltre che sul medicale sul museale, con profilati metallici ad hoc).

Sono come vedete molto concreto perché non credo a ricette preconfezionate, ma a progetti territoriali precisi, argomentati, con risorse che di solito hanno già misure pubbliche definite ma rese impossibili da realizzare causa burocrazie (e burocrati!) inapplicabili perché nessuno più, come ben ha scritto e discusso con noi recentemente anche Sabino Cassese, vuole prendersi alcuna responsabilità.

A Matera abbiamo saputo superare diffidenze ataviche e usare il percorso di candidatura come un piano strategico di sviluppo. Ben prima di diventare capitale abbiamo fatto comprendere che se tutta la comunità fosse riuscita ad andare avanti nella stessa direzione in maniera coesa il successo sarebbe stato sicuro: così, creando FIDUCIA, decine di famiglie hanno investito nella riqualificazione della città, creando spazi di accoglienza, incontro, ristoro di una straordinaria qualità artigianale e di design. Nel contempo, una mappatura seria e circostanziata della scena creativa locale, dei suoi legami con il resto d’Italia e d’Europa, ci ha consentito di mettere in moto un meccanismo di export delle competenze che ha pochi esempi simili: da Matera e dalla Basilicata, per molti di questi operatori, non si tratta più di emigrare, ma anzi di fare base per operazioni culturali fortemente internazionalizzate – è il caso della Cooperativa La luna al guinzaglio di Potenza, o del centro cinematografico Allelammie di Pisticci, o della Cooperativa Sociale Il sicomoro di Matera, ma ne potrei citare decine di altre. Voglio solo essere concreto e far capire che non si tratta di ipotesi, ma di realizzazioni. Non tutto l’oro luccica però!

Anche con una discreta somma a disposizione (circa 50 milioni di euro in 7 anni, neanche troppi se ci si riflette, tutti provenienti non da fondi speciali ma da fondi esistenti o nei bilanci dello Stato o della Regione Basilicata, e con un 10% di quota privata), e con canali preferenziali quali la necessità di fare tutto per tempo (ma senza, giustamente, leggi speciali!) il flusso finanziario di queste risorse, che sono state certificate fin da subito, non è un flusso regolare. I soggetti culturali hanno così dovuto in qualche modo indebitarsi. È questo un grave errore per il sistema culturale locale. Serve una programmazione più certa, pluriennale, con un sistema delle Fondazioni di origine bancaria (che sappiamo essere praticamente assenti al sud) a fare da garanti se non vogliamo far morire in culla le decine di imprese culturali che possono e devono nascere. Passando dal sistema Matera al sud in generale, la cultura ha tre importanti fronti di intervento: motore di inclusione sociale; capitale di attrattività di talenti attraverso le università ma soprattutto attraverso progetti territoriali soft molto precisi e concreti; sapere tecnologico, legato al design e all’architettura per riqualificare i centri urbani, le infrastrutture obsolete e progettare al meglio la natura che meravigliosamente compone circa il 65% del paesaggio meridionale: mari, coste, colline, aree boschive. In Canada e nei parchi naturali statunitensi la natura dà lavoro quotidiano a circa 85.000 addetti che producono una moltiplicazione di reddito pari a 10 volte l’investimento; in Portogallo, in 4 anni, tutte le principali scuole nazionali sono state riprogettate e ricostruite da una generazione di architetti under 40.

Sono esempi concreti e facili da replicare. Servono tre ingredienti fondamentali: una governance efficace trasparente; una fiducia collettiva che soverchi l’invidia dei singoli; una burocrazia capace di fare scelte, di motivarle e di tenere i tempi di spesa e di monitoraggio. Troppo? Se si vuole, ce la si fa. Guardiamoci dentro.

*Direttore Fondazione Matera Basilicata 2019


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