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Personale medico a lavoro

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Come in un bollettino di guerra l’elenco dei feriti e dei caduti si aggiorna di ora in ora e di minuto in minuto. L’ultimo si chiama Marcello Natali, era il segretario della Federazione dei medici di famiglia di Lodi. Nei giorni cruciali era stato assediato dai suoi pazienti. Era al centro di un cratere pronto a esplodere. Aveva 57 anni, non soffriva di alcuna patologia.

Più della ferocia del virus lo ha ucciso la mancanza di misure di contrasto. Mascherine, guanti, tute, disinfettante. Allo sbaraglio contro il Codiv-19, come quei tecnologi di Chernobyl contaminati per evitare che dal reattore nucleare si sprigionasse una seconda nube radioattiva. Una morte annunciata.

Dall’inizio del contagio l’8% delle persone infettate esercita professioni sanitarie. Negli ambulatori, in corsia, nelle ambulanze. Una contaminazione virale che non ha precedenti. A Milano e in Lombardia i medici si sono contagiati tra di loro. Una pagina eroica ma al tempo stesso anche la più nera della medicina italiana.

LA DENUNCIA DEI SINDACATI

Ed è scattata la rivolta. Il Sindacato medici italiani ha presentato una denuncia alla Procura della Repubblica di Roma «affinché siano accertati eventuali profili di responsabilità penale per la mancanza di misure di contrasto dell’epidemia di coronavirus».
Pina Onotri, segretario generale del Smi, chiede di verificare eventuali responsabilità per la mancanza di misure di contrasto dell’epidemia.

L’esposto è un lungo e dettagliato j’accuse. Elenca tutte le criticità finora riscontrate e mette il dito nella piaga: le Asl, le aziende sanitarie delle regioni guidate dai manager non sono in grado di garantire dispositivi di protezione individuali agli operatori sanitari.

PRECETTATI IN CORSIA

La sollevazione è generale. L’Annao Assomed ha promosso una petizione sulla piattaforma change.org per indirizzarla al presidente del Consiglio Giuseppe Conte. «Fate presto, senza protezioni l’ospedale è pericolo». Sono già state raccolte quasi 45 mila firme contro l’articolo 7 del decreto-legge 9 marzo 2020. Dispone che i sanitari esposi al Covid-19 non siano più posti in quarantena ma continuino a lavorare anche se potenzialmente infetti. La sospensione dal lavoro è prevista solo per i positivi.

«Il medico e gli operatori sanitari in contatto con Covid-19 dovrebbero essere in possesso di idonei dispositivi – denuncia il sindacato – tra cui i filtranti respiratori FFP2 e FFP3, guanti, indumenti impermeabili. I medici in contatto con Covid-19 dovrebbero poter accedere all’esame del tampone naso faringeo in via prioritaria proprio per evitare l’ulteriore possibile diffusione, stante la contagiosità confermata anche dei casi asintomatici (portatori sani).

Il contatto con il 118 spesso va in tilt per eccesso di richieste e sovraccarico di lavoro. I pazienti, che necessitano di percorso dedicato vengono lasciati a casa con il solo monitoraggio dei medici di medicina generale.

IL MEDICO DATO PER MORTO

È un momento in cui tutti dovrebbero fare fronte comune, evitare le polemiche e tirarsi su le maniche. Ed è quello che i medici-eroi finora hanno fatto. Ma dall’eroismo al suicidio sociale e professionale ce ne corre.

La mancanza di un’unica strategia nazionale ha aggiunto confusione a confusione. Non c’è chiarezza sui criteri di esecuzione dei tamponi per il rilevamento del Covid-19 in un momento in cui a preoccupare è soprattutto la mancanza di posti letto e di macchinari per la ventilazione polmonare.
Un paziente portato via da Bergamo per essere trasportato a Bari ha esalato l’ultimo respiro durante il tragitto. Un medico della bergamasca dato per morto, notizia data ieri dal Tg Lombardia, è stato per sua fortuna costretto a chiedere alla Rai una smentita: «Sono vivo». Il povero Natali, spirato ieri mattina per una crisi respiratoria dovuta alla maledetta polmonite bilaterale, era stato dato per morto già il giorno prima. Il clima è questo.

NORME DI SICUREZZA DISATTESE

Le brutte notizie si nascondono ai soldati per non minare il morale della truppa. Ma in questo caso ci sono situazioni che qualunque cronista che non sia embedded, ovvero al seguito e sotto la protezione dell’esercito con tutte le limitazioni che questa condizione impone, non può tacere.

«Le criticità riscontrate riguardano – citiamo l’esposto dei medici – l’intero assetto organizzativo a danno del personale medico e degli stessi pazienti che vengono spesso assistiti in condizioni del tutto inadeguate. Non sono ottemperate le norme sulla sicurezza sul lavoro previstedal D. lgs. n° 81/2008».

I medici chiedono di battersi contro l’epidemia che sta colpendo l’Italia ma ad armi pari. «Misure idonee a tutelare compiutamente la salute e l’integrità degli operatori sanitari finora del tutto disattese, arrecando gravissimi danni a tutto il personale sanitario che si trova costretto a lavorare in condizioni del tutto inidonee e quindi pericolose per la propria incolumità e per quella dei pazienti».

«Abbiamo chiesto alla Procura della Repubblica di disporre gli opportuni accertamenti valutando gli eventuali profili di responsabilità penale per i soggetti responsabili» conclude Pina Onotri. La battaglia continuerà in tribunale.


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