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Giuseppe Conte è seduto sul vulcano dei partiti che compongono la sua coalizione di governo e se l’eruzione non è ancora avvenuta lo si deve solo alla sua naturale capacità di disinnescare mine e allontanare le micce. Qualcosa che è un impasto particolare fatto di educazione al confronto e di metodo pragmatico di governo. Il giorno della sua prima nomina a presidente del Consiglio dicemmo che sarebbe stata la sorpresa positiva per la conoscenza che avevamo delle sue qualità di uomo di diritto e di cultura internazionale, la capacità analitica di studiare i dossier. In una compagine raffazzonata dove si mischiavano pulsioni sovraniste, incompetenze diffuse e una tendenza a confondere la regola della propaganda con quella del governo, ci sembrava che potesse rappresentare un ancoraggio dignitoso delle istituzioni.

È stato così nella prima esperienza di governo e lo è ora nella seconda. Rispondendo ieri alle domande dei giornalisti, nel tradizionale incontro di fine anno, ci è parso anche più solido nelle relazioni internazionali e nella maturità di governo. Pienamente consapevole della pericolosità della fuffa sovranista e dell’importanza strategica della reputazione. Ha dimostrato con la scelta di nominare ministro per l’università e la ricerca il rettore dell’ateneo Federico II di Napoli, Gaetano Manfredi, di cui conosciamo bene valore e capacità, un’attenzione reale al punto più delicato della scommessa di futuro di questo Paese. Gli uomini sono decisivi per fare camminare le cose. Soprattutto lì dove si aggruma tutto. Perché si incrociano talento giovanile, costo e spreco della sua formazione, l’esigenza di riacquistare il controllo del capitale più prezioso riunendo le intelligenze, la vitalità tecnico-scientifica delle due Italie e la forza sopravvissuta della nostra economia.

Detto e riconosciuto tutto ciò, vogliamo essere chiari. Giuseppe Conte potrà correre e vincere la sua maratona di governo dei prossimi tre anni solo se saprà tradurre la ritrovata coerenza meridionalista degasperiana in atti di governo nelle prossime settimane. Nel mese di gennaio si capirà se avrà vita lunga o se il castello di carte così abilmente tirato su cadrà al primo soffio pentastellato o renziano. Non basterà l’agenda programmatica a farlo sopravvivere. Per questo gli consigliamo di lanciare subito gli Stati generali della nuova perequazione infrastrutturale e di indicare in quella sede le tre/quattro opere, a partire dall’alta velocità ferroviaria Napoli-Bari e Napoli-Reggio Calabria-Palermo, con cui si riapre il cantiere Italia per potere consegnare le prime (almeno la Napoli-Bari) non nel 2026 ma entro questa legislatura di governo. Solo scelte così coraggiose e atti così concreti consentiranno al Conte due di correre la sua maratona di governo. Soprattutto, solo così potranno ripartire l’Italia e la sua economia. Perché il Paese per essere rispettato in Europa deve recuperare la sua dimensione nazionale infrastrutturale e industriale e per tornare a correre in casa ha bisogno del suo moltiplicatore di fiducia. Che si nutre di fatti non di parole.


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