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Diciamo “memoria” e istintivamente immaginiamo un libro, un documentario, un vecchio baule di carte ingiallite. Ci viene in mente una storia che sta alle spalle. Mettersi ancora a guardarla sembra ci distolga dal presente: gli occhi sono fatti per guardare avanti, non indietro; chi cammina con lo sguardo rivolto al passato, se non inciampa, come minimo ha il torcicollo. Eppure, se diciamo “memo”, subito visualizziamo un’agenda fitta di appunti e appuntamenti, un post-it giallo sul frigo, quel che dobbiamo ricordarci di fare affinché nei giorni a seguire vengano onorati tutti gli impegni che abbiamo preso.

È importante si capisca quanto queste due parole sono parenti strette: la “memoria” è appendere i “memo”, è un ammonimento che ci serve a capire ciò che dobbiamo fare per evitare il ripetersi di vecchi errori. Sotto spoglie diverse, il male può tornare. Se davvero vogliamo evitarlo, non basta “non discriminare”, bisogna “valorizzare la diversità”; non basta “non odiare”, bisogna “rispettare”; non basta “non schierarsi con i diavoli”, bisogna “lottare contro”; non basta “non essere indifferenti”, va fatta “la differenza”.

Cominciamo a pensare alla memoria come a qualcosa per cui ci si rimbocchi le maniche e si dica “Allora? Che c’è da fare?” e con buona volontà si tirino fuori gli strumenti che servono: il cuore e il cervello. Ieri abbiamo creato memoria, oggi ne stiamo creando altra, domani andremo a crearne ancora. I ricordi si costruiscono giorno per giorno, vale per quelli passati come per quelli che verranno: sono un lavoro a tempo pieno.


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