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Raimondo Rossi in arte Ray Morrison

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Intervista a Raimondo Rossi, in arte Ray Morrison, fotografo di moda tra i più apprezzati del momento che si apre al Quotidiano del Sud

Raimondo Rossi, in arte Ray Morrison, è un fotografo di moda tra i più ricercati a livello internazionale. Ha lavorato con Vogue e Rolling Stone come fotografo e con GQ come stylist. I suoi scatti raccontano la diversità, le ingiustizie, le discriminazioni, l’autenticità; mettono in luce i particolari e la personalità dei soggetti ritratti. Lontano dai soliti canoni estetici di bellezza, Ray Morrison fotografa l’anima delle persone, evidenzia ciò che le rende uniche e ineguagliabili; coglie espressioni, dettagli, lineamenti essenziali, apparentemente semplici, in grado di emozionare e scavare in profondità attraverso una lente di ingrandimento creativa. Esperienze di vita personali lo hanno spinto a dar voce a chi non ce l’ha attraverso la realizzazione di immagini evocative. Per saperne di più, abbiamo intervistato Ray Morrison.

Raimondo, come nasce il suo nome d’arte?
«Per quanto riguarda il cognome c’è un collegamento con Morrison dei The Doors. Era il mio idolo adolescenziale. Aveva un sacco di problemi esistenziali, familiari. Immagino abbia sofferto tanto. Quindi, ho voluto rendergli omaggio e averlo accanto nel mio percorso artistico internazionale. Ray è il nome con cui tutti mi chiamano sin da bambino. Da qui, Ray Morrison».

Com’è nata la passione per la fotografia?
«Ho seguito il primo corso di fotografia su invito da parte di un’amica. Ma la passione ha origini più lontane. Durante i viaggi, mia madre usava le vecchie macchinette Rolleiflex. Ho assistito ai processi di costruzione delle immagini. A quei tempi, in assenza degli attuali sistemi tecnologici, si stava più attenti alla ricerca della luce giusta, ai tramonti, al bilanciamento, all’esposizione e ad altri aspetti tecnici. Ho vissuto questa passione sin da piccolo come creazione di immagini che potessero lasciare nella memoria qualcosa di profondo. Lei ci teneva molto. Forse, la passione per la fotografia è entrata nella mia vita sin da quei momenti».

Com’è esploso il successo di Ray Morrison fotografo?
«Ho iniziato a lavorare nel mondo moda perché un fashion designer mi aveva chiesto di indossare una sua creazione al Pitti Uomo. A quel tempo, avevo già seguito dei corsi di fotografia. Così sono entrato in contatto con alcune persone che mi hanno suggerito di aprire un blog e iniziare a fare reportage dei backstage. Ho iniziato proprio sul campo. Ho partecipato a tante sfilate. Successivamente, ho deciso di realizzare ritratti e cogliere i particolari che mi colpivano, a raccontare il mio punto di vista. La moda, da sola, per me iniziava ad essere ripetitiva. Quindi, sono riuscito a farmi spazio in questo settore e ad ottenere il “riconoscimento” da parte di riviste e persone dell’ambiente quando ho iniziato ad essere me stesso mettendo in luce le storie dei ragazzi, fotografando alcuni dettagli e imperfezioni. Da lì, è nata l’attenzione nei miei riguardi da parte degli addetti ai lavori».

Quali sono le peculiarità dei suoi scatti?
«Non sono appassionato di Photoshop e di processi di post-produzione. Quindi, i miei scatti sono abbastanza “duri”. Sono molto reali. Non so se tutti i modelli e tutte le modelle siano contenti di scatti così forti in quanto anziché renderli più belli cerco di renderli più veri. La mia peculiarità è portare nella moda qualcosa di reale. Da qualche anno, il fatto di parlare di diversità e di imperfezioni è diventato un trend. Anche gli stilisti ed i brand hanno iniziato a mettere in primo piano le persone disabili e oversize nelle loro campagne pubblicitarie. Ma spesso si tratta di business, non è un interesse veramente profondo per l’inclusività.
Attenzione, non condanno le loro logiche di vendita. And esempio, nelle copertine c’è la ragazza oversize, la modella con qualche imperfezione, ma nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di celebrities. Non trovi la ragazza comune. Per quanto mi riguarda, mi piace davvero puntare l’attenzione verso la persona».

In occasione della giornata mondiale contro il bullismo, quanto è importante continuare a lanciare messaggi di inclusione?
«Il bullismo continua ad essere presente nelle scuole, nella società. Credo sia importante lanciare i messaggi inclusivi che possano arrivare a tutti. Vengo da un’infanzia in cui essendo in carne e timido, nonché il più piccolo della classe (ho fatto la primina), sono stato un bersaglio per i bulli. Quindi, anche per il mio percorso personale, tengo a dare voce alla realtà, non solo all’immagine».

Cosa la colpisce in un volto? Cosa vuole far emergere da uno scatto?
«Non ho un programma preciso. Quando mi trovo davanti al soggetto, che sia modella/o oppure no, mi piace confrontarmi con la persona per poter capire cosa di quel volto può diventare un’immagine importante. Posso essere colpito dalla bocca, da un profilo, dal modo di portare i capelli. Posso valutare di valorizzare il collo, gli occhi o solo un semplice particolare. Dipende tutto da quello che sento in quel momento e da quel che mi trasmette la persona. Mi piace fotografare visi meno “importanti”. Pensa alla fotografia di street style.
Se fai un reportage in un Paese più povero del nostro, lungo le strade riesci a trovare tanti volti in grado di creare un’immagine d’impatto. Trovi volti molto stanchi o volti con lineamenti e rughe importanti. In questi casi, la foto è già servita. Anche scattare una fotografia ad una persona anziana è piuttosto facile perché porta nel volto tutta la sua esperienza di vita. Invece, per me, è una bella sfida rendere carismatico un viso neutro. Inoltre, mi piace rendere protagonista di uno scatto una persona insicura e con poca autostima».

Ray Morrison non solo fotografo, ma anche stylist. Un’anima che racchiude in sé diverse sfaccettature che si incastrano perfettamente tra loro.
«Sì. Ho curato anche lo styling personale per gioco perché andando agli eventi di moda si tende ad indossare capi creativi. Non voglio incasellarmi in uno stile estetico. Voglio dimostrare che anche la moda è divertimento ed è possibile passare da uno stile da rapper americano ad uno stile classico italiano elegante o ad un’avanguardia destrutturata o con volumi più morbidi. Mi piace variare. Lo specchio è nostro amico. Giocando con forme, volumi e stili, tutti possono essere creativi».

Quando dice che non ama incasellarsi in uno stile predefinito, il discorso può estendersi anche alle varie attività che svolge?
«Esatto! Nella mia biografia, non ho scritto soltanto fotografo perché non mi piace definirmi. Tutti abbiamo diversi lati. In Italia, ho notato che rispetto agli Stati Uniti, in passato, si riteneva che chi fa due cose tende a farle tutte e due male. Invece, negli Stati Uniti, se dici che sei solo un fotografo, ti chiedono: «E poi? Tutto qui?». Vogliono che tu abbia interessi in più campi. Se dai una risposta sola li deludi e non sono interessati. In Italia, fino a poco tempo fa, se mostravi di essere poliedrico, molti si raffreddavano. Ora, forse, questa concezione sta cambiando».

All’università, ha studiato matematica. Dico bene? Come incide la sua formazione nei suoi scatti?
«Riscontro il mio retaggio logico-matematico nella fotografia spesso essenziale, semplice, minimalista».

Ha scattato centinaia di campagne editoriali per i più influenti magazine del mondo tra cui Vogue e GQ. Come sono nate queste collaborazioni?
«Ho realizzato reportage. Raccontavo le storie dietro le quinte. Piano piano, ho proposto questi scatti particolari, specialmente con soggetti di varie etnie, dopodiché sono finiti su Vogue e Rolling Stone. Anno dopo anno, imparo e creo qualcosa di nuovo. Non guardo mai i lavori degli altri fotografi. Cerco sempre di scavare nel profondo, dentro di me e nelle persone che ho davanti».

Un consiglio di Ray Morrison da fotografo agli aspiranti fotografi?
«Molti colleghi ce l’hanno a morte con i telefonini perché ritengono che tutti vogliono improvvisarsi fotografi. Secondo me, invece, il cellulare è uno strumento utile per iniziare. Quello che manca nella fotografia, come in tanti campi, sono le idee più che la tecnica. Quindi, anche un semplice smartphone può stimolare la creatività e l’immaginazione del futuro fotografo che cerca di capire quale possa essere l’immagine giusta trovandosi di fronte un paesaggio, una persona, una situazione. E non c’è bisogno di una macchina super professionale. Si può iniziare con un semplice telefonino e, se c’è passione, passare alla macchina professionale. Il lavoro da fare è creare qualcosa di nuovo. Siamo bersagliati da immagini; molte sono tutte uguali. Secondo me, l’aspirante fotografo dovrebbe coltivare la creatività».

La campagna del cuore?
«“Le note della moda”. La manager del progetto mi ha dato in mano tutto, dalla location alla scelta dei modelli, fino alla selezione degli abiti. Avevo inserito una persona anziana, una coppia dello stesso sesso, i bambini. E’ stato uno dei primi lavori in cui ho diretto anche il video».

Leit motiv di questo progetto?
«La moda che in maniera trasversale coinvolge tutti sin dall’adolescenza, lasciando ad ognuno di noi delle emozioni. Quelle emozioni suscitate al tempo stesso dalle note di un piano. Sono molto affezionato a quel progetto. Lo ricordo sempre con molto piacere».

Le città in cui lavora più spesso?
«Los Angeles, Milano, Roma, Londra, Perugia. Attualmente, ho intenzione di spostarmi a Los Angeles perché sono molto attratto dal clima. Nei prossimi mesi, mi dividerò tra Roma e Los Angeles».

Progetti futuri?
«Dopo la pandemia, vorrei riprendere a pieno ritmo i viaggi di lavoro, specialmente a Los Angeles, per portare avanti nuovi progetti. Anche in questo caso, punterò l’attenzione sulla diversità. Lavorerò con un’artista oversize».

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