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Diana, Lidia, Inn e Liliana

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BARI – Paura, angoscia e incertezza sono i sentimenti che stanno provando gli ucraini che risiedono all’estero, preoccupati per la sorte dei loro familiari in patria, costretti a vivere l’orrore di una guerra assurda. È il caso di quattro donne, che incontriamo domenica 27 febbraio in un bar del rione Madonnella.

Hanno da poco concluso una manifestazione tra connazionali che vivono a Bari e perciò, indossano accessori giallo blu, nastri e un mantello, sono i colori della loro bandiera. «Prego ogni giorno per il nostro Presidente Zelens’kyj – dice la 33 Liliana – lui è un uomo che viene dal popolo, vicino alle persone e non lascerà mai l’Ucraina. So che sta facendo di tutto per non soccombere a Putin differenza del suo predecessore. Porošenko, lui era un burattino nelle sue mani».

Le donne parlano come un fiume in piena, accalorate ma lucide. Per loro l’incubo di questa guerra è duplice: oltre al terrore di non vedere più i loro cari, temono che l’intervento bellico della Russia sia finalizzato a riportare la dittatura nel loro Paese.

«Dopo la caduta dell’Unione Sovietica i nostri giovani hanno avuto l’opportunità di conoscere un mondo diverso – spiega la 56enne Diana – e hanno compreso che la propaganda Russa aveva raccontato tante bugie su ciò che c’era fuori dai nostri confini».

A questo si aggiunge che il popolo ucraino, storicamente, è stato oppresso sotto tutti gli aspetti: culturali, linguistici e identitari. È questa la traccia che ci permette di capire il perché i civili siano disposti a imbracciare le armi per difendere la loro nazione.

«I miei amici in Ucraina sono pronti a morire da eroi – dice la 38enne Lidia – piuttosto che per mano di Putin. Zelens’kyj non sta obbligando nessuno ad armarsi, ma in molti si stanno proponendo come volontari. Non siamo più disposti a soccombere o a fuggire». Mentre parliamo, la 48enne Inn mostra il suo cellulare. È sua sorella che le scrive, in italiano, da Mykolaïv una città a sud dell’Ucraina.

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«Hanno iniziato sparare, sentiamo gli spari, siamo nel rifugio, tieniti forte». Liliana non dorme da tre giorni, è sempre attaccata al telefono per avere notizie di sua madre. «Il presidente della nostra regione Dnipropetros’k, che si trova vicino ai confini della Russia – racconta la ragazza – ha detto a tutti i cittadini di lasciare la città, perché presto verrà invasa dai carri armati. Per fortuna abbiamo una casetta in campagna, dove mia madre ha ospitato i suoi amici che non ce l’hanno e dove c’è una cantina per potersi rifugiare».

Sono forti, ma cedono alle lacrime, quando chiediamo come i loro familiari stanno vivendo questo dramma. «Mia madre è sola, con lei nel palazzo è rimasta solo un’altra signora – racconta Lidia – non ce la fa più. È vestita in modo pesante anche quando dorme, con una borsa, con lo stretto necessario, a portata di mano. Ha paura anche a farsi una doccia, perché le sirene suonano in continuazione. Quel suono le fa tremare le gambe e non ha più la forza di scendere in cantina».

Altri orrori si aggiungono al dramma in corso. Non mancano gli sciacalli, che approfittano delle persone sole e indifese per rapinarle e nei peggiori dei casi pronti a sparare. «Non è giusto – dice la ragazza, scoppiando in lacrime – non ce la fa più – mia madre è anziana e malata, ho tanta paura che possa accaderle qualcosa di orribile».

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