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I caratteristici trulli di Alberobello

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Nel territorio pugliese le caratteristiche strutture in pietra a secco, tipiche costruzioni dal particolare linguaggio architettonico, insediamenti legati al nostro paesaggio, acquisiscono una importanza particolare.
La tecnica costruttiva dei manufatti “in pietra a secco” è sempre stata attuata dalla semplice sovrapposizione di materiali lapidei, prive dell’impiego di malta o cemento. Con tale sistema sono stati realizzati i muri “a secco” che limitano le proprietà terriere, i muri di contenimento del terreno che costituiscono i terrazzamenti, i muretti di delimitazione dei tratturi e delle strade interpoderali, le costruzioni coperte a lamia ed a pignon, i trulli, i recinti di alcune masserie.

L’unità costruttiva monocellulare del trullo presenta una pianta di forma approssimativamente circolare, sul cui perimetro si imposta la muratura a secco di spessore elevato. Questa soluzione restringe notevolmente gli spazi interni ed è caratterizzata dalla quasi totale assenza di aperture ad esclusione della porta d’ingresso e, alcune volte, di un piccolissimo foro in alto dotato di finestrino per garantire un minimo ricambio di aria all’interno. Il trullo, costruzione senza tempo, tipologicamente può riferirsi al sistema a “tholos” costituito da anelli di conci in pietra allettati a secco su piani orizzontali progressivamente aggettanti e chiusi in sommità da una grossa pietra. Sicuramente la struttura a trullo che caratterizza la zona della Murgia dei trulli, è legata al periodo della Regia Dogana per la mena delle pecore in Puglia e diviene dimora temporanea per i pastori, riparo per il bestiame e deposito per gli attrezzi agricoli.

Tale caratteristica costruzione rurale, munita di copertura pressoché conica, impostata su base circolare e successivamente quadrangolare, è composta da un modello unicellulare coperto da due strutture coniche indipendenti: una interna solitamente intonacata e una esterna in pietra calcarea di varia pezzatura.

Tali strutture costituite da lastre sottili in pietra “chiancarelle” incastrate e tenute dal mutuo contrasto e dai cunei lapidei inseriti negli interstizi, senza impiego di malta, sono disposte secondo corsi sovrapposti e inclinati di circa 20 gradi per favorire la raccolta dell’acqua piovana nelle cisterne.

Gli unici elementi costruttivi che collegano le due coperture spaziali, quella esterna a quella interna, sono gli stipiti e gli architravi dei fornici di ingresso e gli elementi di varia forma che compongono i pinnacoli terminali dei coni.

Queste caratteristiche costruzioni, interessante esempio “ante-litteram” di bioedilizia passiva, assicurano una elevatissima inerzia termica che garantisce una buona conservazione del calore all’interno durante l’inverno, così come in estate conserva il fresco accumulato dalle murature durante la stagione fredda e mantenuto gradualmente fino alla seconda metà del mese di agosto, quando, per effetto dell’inversione termica, si verifica una sensazione di maggior calore all’interno.

Il passaggio dalla originaria pianta circolare, tipica delle forme più antiche, a quella quadrata con la conseguente trasformazione della base del trullo da cilindrica a prismatica o tronco-piramidale, pur lasciando invariato l’elemento fondamentale della pseudo-cupola, ha consentito di avviare un processo evolutivo attraverso la composizione di più moduli unicellulari intercomunicanti. Nelle masserie, sistemi di trulli sono stati accostati all’elemento turriforme residenziale, creando un ritmico alternarsi di stalle , ricoveri e depositi. Il paesaggio variegato della Puglia e in particolare della Valle d’Itria ove si concentra la costruzione a trullo, dimora sapiente e armoniosa, costituisce sicuramente una risorsa economica per la regione e una meta ambita dai tanti turisti che amano soggiornare nei trulli e nelle masserie trasformate in strutture alberghiere.

Il territorio è parte della storia dell’uomo e si qualifica come un fondamentale bene culturale e ambientale che dovremmo imparare a conoscere e valorizzare, evitando di deturparlo con il selvaggio degrado dovuto all’abbandono e alla mano distruttrice dell’uomo. Attraverso una attenta lettura e una appropriata interpretazione del paesaggio pugliese, dovremmo evidenziare gli elementi significanti delle costruzioni in pietra a secco recuperando tali strutture esemplari che narrano la nostra storia.

A sostegno del principio della rivalutazione di una architettura “povera” non può bastare il richiamo alle genericità delle radici ma occorre un pragmatismo operativo efficiente, una tettonica che esorcizzi l’uso delle strutture in pietra identificate con il paesaggio, una ricerca di sostenibilità nella scena edilizia. La preservazione della natura antropica del territorio, la tutela assoluta da ogni tipo di inquinamento e il rispetto verso l’architettura tradizionale restano le condizioni ineludibili per ogni tipo di intervento che stabilisca un nuovo equilibrio tra cultura urbana e tradizione agricola, tra forma e funzione, tra uomo e natura.

ANTONELLA CALDERAZZI, docente di Architettura e composizione architettonica del Politecnico di Bari.

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