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Il professore Savino Longo

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È possibile trasformare l’anidride carbonica in carburante? Per Savino Longo, e non solo, la risposta è sì. Ma è necessario miscelarla con l’acqua e seguire un processo attraverso l’energia elettrica, sostenibile, però, prodotta per lo più da pannelli solari.
Quella del 55enne professore ordinario di chimica generale e inorganica all’Università di Bari è una risposta strutturata e studiata assieme ad altri ricercatori internazionali. Il suo modello, alternativo per la mitigazione della CO2, fonte principale dell’inquinamento e del surriscaldamento della terra, è pensato necessariamente per le industrie.

Un modello studiato nel centro di ricerca Dutch Institute for Fundamental Energy Research Differ di Eindhoven, nei Paesi Bassi, che lo studioso, originario di Taranto, vorrebbe portare nell’Università barese per svilupparlo attraverso un progetto e, possibilmente, l’accesso a finanziamenti del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr).

«È molto difficile – spiega – dal punto di vista chimico trasformare l’anidride carbonica in qualcosa di diverso, si tratta infatti di una sostanza molto stabile. È prodotta delle reazioni di combustione che sprigionano anche tanta energia, quello che rimane è quindi una molecola impoverita della stessa. Fornire energia alla anidride carbonica per trasformarla in qualcos’altro sembra un controsenso perché la produzione di energia ha un impatto ambientale.

Di qui l’idea: utilizzare il plasma, il cosiddetto quarto stato della materia, cioè il gas ionizzato, un gas dove atomi e molecole sono stati trasformati in ioni. Nel plasma – sottolinea – le molecole di anidride carbonica si rompono. Questo processo richiede una forte scarica elettrica, quindi energia elettrica che però potrebbe essere prodotta in modo sostenibile a partire dall’energia solare. Sempre grazie all’energia solare è possibile produrre idrogeno dall’acqua».

Da qui nasce il modello con lo schema di sviluppo al quale Longo collabora e che, in teoria, potrebbe rivoluzionare il sistema della produzione di carburante per i motori termodinamici attuali, senza quindi abbandonarli per le nuove trazioni elettriche.
Un enorme vantaggio per Paesi che avrebbero grandi difficoltà nel permettersi il cambio di paradigma. Basti pensare all’India o agli stati africani.

«Si prende una macchina su scala industriale – spiega ancora Longo -, un cosiddetto reattore al plasma, che nell’applicazione reale sarebbe una macchina davvero molto grande. Lo si colloca in un’area industriale e l’anidride carbonica raccolta dall’area sarà trasformata in ossigeno e in un gas tossico, il monossido di carbonio. Quest’ultimo però resta nell’impianto e in ossigeno, che può essere utilizzato dagli ospedali o liberato. Combinato con l’idrogeno, prodotto dall’acqua, il monossido può essere usato per produrre carburanti come il metanolo. Assieme possono essere utilizzati nei motori, senza la necessità di rendere tutto elettrico».

Longo sottolinea anche che per la conversione di anidride carbonica in monossido sia già in sperimentazione quasi su scala da prototipo industriale. Il suo contributo è quindi diretto al benessere comune e alla mitigazione dei problemi ambientali. Tutto sta poi ad applicare in concreto i modelli.

E alla domanda se questi possano essere utilizzati per l’abbattimento di emissioni nell’industria più impattante sul territorio, l’acciaieria ex Ilva di Taranto, il professore risponde: «Questo modello specifico no, perché descrive il flusso di energia dentro una molecola di CO2 che è continuamente urtata da elettroni e da altre molecole fino a che si rompe. Però è vero che la capacità di formulare modelli innovativi di processi, basati su principi chimici, potrebbe aiutare in una strategia di riconversione degli impianti dell’Ilva, riducendo drasticamente l’impatto dell’anidride carbonica.

I forni andrebbero progettati ex novo per funzionare a metano anziché a carbone, e con il concetto sviluppato, in almeno 20 anni, l’impianto potrebbe funzionare a ciclo di carbonio chiuso, con l’apporto di energia rinnovabile. In alternativa – conclude – si potrebbe in un futuro avere un processo che porti a produrre dalla CO2 gas simile a quello naturale e riconvertire gli altiforni alimentandoli con questo combustibile, composto per lo più da metano».

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