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Lo stabilimento Bosch di Bari

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Non c’è futuro per lo stabilimento Bosch di Bari. Non stando alle slide che i dirigenti hanno sciorinato lungo l’incontro avuto ieri in Regione con la task force per l’occupazione diretta da Leo Caroli. Lavoratori, sindacati, istituzioni e anche Confindustria Puglia ne sono convinti, dopo l’annuncio dei 700 esuberi della multinazionale tedesca. Il Quotidiano del Sud a dicembre aveva rivelato come l’azienda avesse segnalato al ministero dello Sviluppo economico 620 lavoratori di troppo nel sito barese, il più importante della zona industriale del capoluogo, il secondo della Puglia.

A distanza di un mese quel numero è addirittura aumentato, con lavoratori da licenziare nell’arco di cinque anni. «La situazione è monitorata in maniera costante – fa sapere il dicastero di Giancarlo Giorgetti –, la struttura per le crisi d’impresa del ministero è stata già allertata e convocherà il tavolo in tempi brevi. Purtroppo il rischio degli esuberi denunciato dai sindacati è conseguenza della transizione verso il green», ha aggiunto il ministro su una vertenza che si trascina da almeno quattro anni. Caroli chiede al governo un tavolo nazionale da convocare entro la fine di febbraio con tutti i responsabili di Bosch in Italia, in alternativa è pronto a convocarlo la Regione. I sindacati, intanto, si dicono pronti alla mobilitazione.

Settecento lavoratori su millesettecento sono un’enormità. Lo sono soprattutto se si considera che per gli altri non è stato delineato un futuro certo. Perché oltre alla riduzione dell’organico, nei tre punti delineati dai vertici aziendali nell’incontro con la task force regionale ci sono: abbassare i salari e rafforzare un percorso di diversificazione produttiva affidandosi ad aziende terze perlustrando il corridoio dell’elettrificazione.

Il futuro degli altri mille si reggerebbe quindi non su un piano industriale di riconversione integrale dello stabilimento legato ancora, nelle sue produzioni, al mercato delle pompe per l’iniezione dei motori diesel Common rail. Settore destinato alla dismissione entro il 2035, per via della transizione energetica, e già di fatto ridotto ai minimi termini. Ma su una futuribile ricerca di star up e tecnologie innovative per auto da sviluppare ed eventualmente produrre a Bari.

Dall’accordo del 2017 a oggi del resto solo la produzione legate alle bici elettriche hanno rappresentato una novità. Impiega non più di 350 lavoratori, che potranno al massimo crescere a 450. Gli altri oggi sono in cassa integrazione. Ciro D’Alessio, segretario Fiom di Bari si domanda: «Giorgetti, quando ha visitato lo stabilimento lo scorso 8 ottobre, cosa si è detto con l’azienda? Di quell’incontro non si sa nulla. Si parla di Pnrr e risorse per il Sud, se non per riconvertire uno stabilimento come questo per cosa le si usa? Vogliamo sapere cosa Bosch vuole farne domani di questo sito industriale. Che ruolo vuole deve avere nello scacchiere internazionale dell’azienda, che altrove investe in idrogeno ed elettrico. Vogliamo un vero e proprio piano industriale che lo rilanci e lo possa far espandere ulteriormente».

Al tavolo di febbraio si discuterà anche della proposta di solidarietà infragruppo, con lo spostamento di produzioni da altri siti. Per la Fiom non è la soluzione, in assenza di piano industriale, formazione e ammortizzatori sociali. Per la Uilm, sì.

«Il problema è che l’80 per cento della forza lavoro – spiegano dalla i segretari Gianluca Fico e Riccardo Falcetta – è ancora impegnato sul diesel, che continua a calare sempre più. Il Cp1H da 2,1 milioni di pezzi del 2017 è passato a 400 mila pezzi nel 2022 e in pratica si azzererà nel 2027; il Cp4 dagli attuali 720 mila pezzi calerà a 455 mila nel 2027. Bosch sta investendo in nuove tecnologie ma altrove.

La solidarietà infragruppo deve servire non solo a portare lavorazioni che oggi addirittura sono affidate all’esterno, ma soprattutto ad assegnare una missione produttiva adeguata nell’ambito della green economy. La riconversione dì Bari deve essere una priorità nazionale: se la normativa europea vieterà i motori endotermici e se i soldi del Pnrr sono davvero finalizzati alla transizione energetica, allora la priorità assoluta deve essere finanziare la riconversione industriale di grandi fabbriche, come la Bosch di Bari».

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