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“Una questione di principio”. Espressione abusata eppure mai così adatta alla vicenda nella quale è coinvolta una donna di Barletta, la cui ostinazione è stata premiata. Sei lunghi anni di battaglie legali e una serie di sentenze, fino alla pronuncia definitiva della Corte di Cassazione, si sono conclusi: una compagnia telefonica dovrà restituire alla barlettana l’addebito di 35,18 euro conseguito per il recesso dal contratto.

In modo illegittimo, secondo quanto stabilito dai giudici di terzo grado. Il ricorso presentato dai legali della grande azienda della telefonia è stato infatti respinto dalla Suprema Corte che ha fatto presente, nell’ordinanza 10039 pubblicata martedì 29 marzo, come non sia dovuta una somma per la disattivazione dell’utenza telefonica perché la mera indicazione delle spese di recesso nelle “Condizioni generali di contratto” pubblicate sul sito dell’operatore non può ritenersi vincolante per il cliente.

Una sentenza destinata a fare giurisprudenza. Il Giudice di Pace di Barletta nel 2016 in un primo tempo e quindi il Tribunale di Trani, nel 2019, si erano già espressi in favore dell’utente barlettana e avevano condannato la compagnia telefonica a restituire all’ex cliente la cifra versata per la cessazione. L’appello dell’azienda era stato rigettato: «Nessuna clausola contrattuale sottoscritta dall’appellata autorizzava a riscuotere la somma».

Il successivo ricorso proposto in Cassazione dalla compagnia era basato sulla condizione per la quale, non essendo quella una clausola vessatoria, il cliente non avrebbe dovuto fornire la sua chiara approvazione per iscritto al momento della sottoscrizione del contratto. La tesi dell’impresa telefonica era che il pagamento delle spese per la disattivazione della linea fosse una delle “condizioni generali”. La Corte di Cassazione, nel corso della seduta della VI sezione civile, ha affermato inammissibili le ragioni del ricorso presentato dagli avvocati della compagnia.

La donna di Barletta, alla fine, l’ha perciò spuntata, togliendosi anche la soddisfazione di non dover corrispondere le spese per il procedimento in terzo grado di giudizio. Toccherà infatti alla società sostenerle alla luce di quanto contenuto nello storico dispositivo di ordinanza. Le associazioni dei consumatori esultano per la definizione di un principio ritenuto cardine del diritto dell’utente a rescindere il contratto con i fornitori di servizi telefonici senza sobbarcarsi alcun tipo di addebito. La lunga battaglia legale ha segnato un punto in favore dei cittadini.

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