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Il Garante regionale dell’Infanzia e Adolescenza, Abbaticchio

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5 minuti per la lettura

di ANTONELLA CIERVO
Nessuno si salva da solo. Soprattutto se è minorenne. Se la differenza fra generazioni può creare incomprensioni, sono gli effetti esterni sempre più spesso a segnare le fratture più profonde, quelle che segnano i ragazzi a volte in modo invisibile ma comunque serio. Il Garante regionale dell’Infanzia e dell’Adolescenza, Ludovico Abbaticchio affronta ogni giorno dinamiche di questo tipo anche alla luce di una realtà che ormai risulta segnata dalla pandemia ancora in corso.

L’effetto del Covid ha influito sui ragazzi? La maggiore presenza in casa ha avuto ricadute positive, oppure no?
«Il Covid ha cambiato molte cose, dai comportamenti alle abitudini, fino a tutto ciò che era ormai dato per scontato. Il sistema di vita giovanile collegato soprattutto al mondo scolastico ha vissuto capovolgimenti imprevisti, basti pensare al dibattito sulla Dad e a quello che poi è diventato l’uso dei sistemi di comunicazione, a cominciare dal semplice whattsap. Quando poi è stata registrata disattenzione da parte delle famiglie, allora si è passati all’abuso di questi strumenti, dai siti web a Tik Tok. Secondo i dati della Polizia postale, infatti, risulta che sono aumentati i sistemi di adescamento da pedofili o soggetti simili».

Quanto ha influito la mancanza di contatto diretto fra i ragazzi?
«Questa assenza ha portato a un raffreddamento che ha avuto ricadute anche nell’ambito familiare. Il contatto video, per i ragazzi, è diventata la normalità. A questo si aggiunge anche la lontananza della scuola, il fatto di non poter contare più sulla partecipazione, sulla concorrenza sana nel mondo giovanile e in quello adolescenziale. Tutto questo ha pesato molto».

Si è tornati alle lezioni, in presenza, ci auguriamo per molto tempo. La scuola a questo punto ha molto da recuperare?
«Parliamo di una presenza forzata, come quella nelle attività commerciali, nel turismo. I vaccini hanno ridotto il rischio di patologie gravi ma non quello di ammalarsi ma è probabile che questa sia una fase transitoria, è prevedibile infatti un’altra chiusura, non rigida ma flessibile».

Le generazioni precedenti avevano spesso difficoltà con il potere precostituito che poteva essere rappresentato dai genitori severi o dagli insegnanti. Oggi è ancora così?
«Non credo ci sia più la figura severa. C’è sicuramente fra le coppie giovani una certa attenzione al recupero della maternità e della paternità responsabile, in particolare da parte mondo maschile che fino a 40 anni fa era meno evidente. In particolare, oggi, tendono tutti a essere molto più attenti alle malattie. Il nostro è un Paese che ha sempre seguito la patologia, non ha mai investito in termini di prevenzione come forma educativa. Per questo dico che ai ragazzi non bisogna nascondere mai la verità. Quando ero adolescente i miei genitori temevano due cose: che fumassi o mettessi incinta una ragazza. Quando sono diventato genitore io, temevo che mio figlio si drogasse, poi è arrivata la paura dell’Aids e oggi il sistema è diventato molto più ampio: dall’anoressia alla bulimia, al bullismo fino all’autoreferenzialità. Non dobbiamo dimenticare però che il cerchio della fiducia, per i ragazzi, è composto dalla famiglia, dalla scuola e dalla collettività».

Quale parte hanno in questa fase le istituzioni?
«Quella più arretrata in tema di politiche della salute, di benessere sociale. Interviene a compartimenti stagni, quando scoppia il caso del bambino che si è suicidato, di quello obeso o della violenza di gruppo. C’è una falsa morale che, francamente, ha rotto le scatole, mentre mancano investimenti sull’educazione civica, sanitaria e dell’evoluzione psicologica dei ragazzi. In passato c’era una partecipazione più diretta nei punti di aggregazione, dalla piazza alla scuola alla discoteca. Oggi è rimasta solo la scuola».

In che maniera si può intervenire attraverso il compito affidato alla scuola?
«Si dovrebbe programmare l’attività ad esempio non solo fino alle 14. Si parla tanto del Pnrr ma qualcuno si preoccupa di investimenti per le palestre o i luoghi di aggregazione scolastica fino alle 18 per ragazzi delle elementari che, ad esempio hanno genitori lavoratori o famiglie disagiate e poco attente, evitando di farli restare per strada? Credo che il Governo dovrebbe puntare sulla riforma delle politiche della salute».

Serve dunque una progettazione adeguata e a lungo respiro?
«E’ fondamentale il ruolo degli enti locali, degli ambiti territoriali che rappresentano Comuni che dovrebbero parlare con il distretto sanitario per individuare percorsi o progetti vincolanti, anche sotto il profilo finanziario in termini educativi come, ad esempio, l’educazione alla sessualità che non viene considerata una materia fondamentale. E’ importante invece che ci sia una équipe socio sanitaria in ogni scuola, composta da un pedagogista, uno psicologo, un medico e un assistente sociale. Questi professionisti dovrebbero programmare progetti continuativi di educazione alla salute a seconda delle fasce d’età e in questo modo si creerebbero anche prospettive occupazionali di settore».

Lei sta parlando di una svolta storica, per molti territori
«L’impegno dei Garanti regionali, di cui sono coordinatore nazionale, sta proprio qui. Noi non cambiamo le carte in tavola ma siamo sindacalisti dei minori e facciamo i loro interessi. La nostra è una funzione di stimolo e critica».

E in Puglia qual è la situazione?
« Sono stati fatti passi importanti: il codice etico per i minori ricoverati in ospedale, l’osservatorio regionale che si sta per mettere in atto e i corsi di formazione per l’educazione alla salute rivolti ai docenti e i seguito ai genitori e agli opinion leader adolescenti. Sono tutte forme progettuali sperimentali esecutive, atti pratici che però rimangono fini a se’ stessi se non c’è l’attenzione degli enti locali, della Regione per farli diventare strumento legislativo. Se bisogna investire sulle politiche giovanili, è necessario che lo si faccia con fondi vincolanti; bisogna progettare come accade per l’urbanistica o le case popolari, con fondi in bilancio. Dico queste cose da 40 anni. Quello che serve ora, sono segnali seri».

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